Bisognerebbe chiederlo al vento

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Foto: Facebook.com

Daniel Cundari è nato a Rogliano nel 1983. È poeta, narratore e traduttore. Ha studiato Lettere Moderne e Relazioni Internazionali a Siena e in Spagna. Performer plurilingue molto apprezzato all’estero. Si è esibito in vari paesi del mondodalla Cina alla Serbia, dal Messico alla Slovacchia. È precursore e inventore del Repentismo Cutise, una scienza-spettacolo originata dal canto d’improvviso. È il più giovane vincitore della storia dei premi Lerici Pea, Pericle d’Oro e Genil de Literatura in Spagna, normalmente assegnato a scrittori iberici o latinoamericani. Ospite dell’Accademia Mondiale della Poesia, ha pubblicato molti libri, tra cui: “Il dolore dell’acqua”, “Poesie contro me stesso”, “Nell’incendio e oltre”, “Istruzioni per distruggere il vento” e “Il silenzio dopo l’amore”. lo abbiamo intervistato, inaugurando con lui uno spazio su Unimondo che prova a guardare la contemporaneità attraverso la poesia. 

 Mi racconti, per iniziare, che cos’è e che cos’è stata per te la poesia? 

Credo che sia impossibile dare una definizione di poesia. Potrebbe essere una nonna che non muore mai oppure un piccolo fuoco che arde nel silenzio o un’isola sperduta in un oceano abbandonato. Ad ogni modo, per me la poesia risiede in ogni cosa, persino in ciò che spesso si ritiene poco poetico. 

Mi sembra che la poesia si sia staccata (lasciando pian piano la presa) dal quotidiano, dal concreto. E il risultato è che ci siamo abituati a vivere passivamente la poesia, intellettuali inclusi. A relazionarci con una poesia, passata o presente che sia, completamente staccata dall’azione, dal corpo. Tu scrivi che “il passato non è rimpianto, ricordo, ma anima del presente”. Che cos’è oggi la poesia di ieri? Come possiamo sentirne ancora il battito? 

L’arte deve collegarsi con forza alla vita sociale. Non mi ritrovo nello scarso impegno politico del poeta apatico. Nel mio lavoro è evidente il contrario: una grande disciplina fisica per affrontare il verso con il corpo, attraverso il “repentismo”, ed un’importante responsabilità intellettuale. Roberto Bolaño sosteneva che c’è un tempo per scrivere poesie e un altro per fare a pugni. Oggi, la poesia di ieri, è quella di sempre: la ritroviamo ogni giorno in Catullo, Tirteo, Ibico, Nosside, Lorca, Darwish, per citare solo alcuni esempi.

Io dico sempre che la poesia si impara dalla vita e la vita si comprende attraverso la poesia. A me sembra, che oggi, si abbia perso la capacità di “vivere”. Ci si ferma a “pensare” e a “comunicare”. 

Si è perso il “fare”: si pensa troppo, si scrive molto e si fa sempre meno. Questo lascia spazio a una mediocrità che non porta a nessuna conoscenza. In che modo e in quali termini il ruolo del poeta può fare la differenza in questo terreno che, per forza di cose e in assenza di azione, imprigiona il cambiamento?

Scrivo per divertirmi e per dare un contributo concreto alla mia comunità. I linguaggi digitali hanno modificato le leggi della comunicazione. L’algoritmo domina il messaggio ed incanala il pensiero verso un binario unico. Solo il poeta può scardinare come una tenaglia le catene dell’omologazione culturale. In che modo? Come si fa da sempre, con una poesia onesta, incisiva e selvaggia. 

Io ho la sensazione che la parola sia stata derubata della sua magia. Che si abbia perso l’importanza e dunque la padronanza della parola. Della parola intesa come la conseguenza di quello che esprime. Jim Morrison diceva che la poesia “è la suprema delle arti perché ciò che ci definisce come essere umani è il linguaggio”. Come possiamo iniettare ancora vita nella parola? Cosa si può fare, secondo te Daniel, per restituire magia alla parola?

Sicuramente leggere e rileggere. Ascoltare e apprendere dai contadini, ferirsi, cadere e rialzarsi per continuare a vivere con passione. Scrivere contro sé stessi è una pratica interessante per restituire potenza e fascino alla parola.

Per concludere Daniel, che cos’è per te “il vento”?

È un corpo impalpabile che non esiste, eppure sconvolge le nostre vite. Forse un vero poeta è tale se riesce a vederlo, a renderlo carne e sangue. Sarà mai possibile? Bisognerebbe chiederlo al vento... 

Francesca Bottari

Sono nata a Cles il 15 settembre 1984. Dopo essermi laureata in Lingue e Culture dell’Asia Orientale a Venezia, ho vissuto in Cina e in altre nazioni. In passato mi sono occupata di giornalismo e di inchieste. Oggi vivo a Bassano del Grappa, dove ogni giorno mi alleno a vivere scrivendo poesia: francescabottari.it

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