Armi: preoccupa l'apertura dell'Ue per revoca embargo alla Cina

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L'Unione europea (Ue), pur chiedendo "maggiori garanzie nel rispetto dei diritti umani" ha confermato alla Cina la propria "volontà politica volta a continuare il lavoro per la rimozione dell'embargo di armi". Un "segnale positivo" che "aiuterà un solido sviluppo delle vasta partnership strategica tra Cina e Ue" - dichiara la delegazione cinese a conclusione del vertice dell'Aia tra Ue Cina.

Circa la tutela dei diritti umani in Cina, l'Ue chiede a Pechino di ratificare "il piu' presto possibile" la Convenzione internazionale sui diritti umani e a combattere al fianco dell'Europa l'immigrazione clandestina. "L'Unione europea e la Cina confermano che le relazioni Ue-Cina si sono sviluppate in modo significativo in tutti gli aspetti negli anni passati" - si legge nel comunicato. "In questo contesto hanno discusso la questione dell'embargo Ue delle armi contro la Cina. L'Ue ha confermato la sua volontà politica di continuare a lavorare verso una eliminazione dell'embargo". Il premier cinese Wen Jiabao ammette delle "differenze di vedute" per quanto concerne la questione "dei diritti umani e del bando alla vendita di armi", ma questo "non spaventa" il versante cinese e "non impedisce rapporti bilaterali" fra i paesi - riporta l'agenzia Asianews.

Sulla dichiarazione del vertice Ue-Cina intervengono la Rete Lilliput e numerose associazioni del mondo pacifista italiano che hanno diramato un comunicato nel quale esprimono "forti preoccupazioni" per gli esiti del vertice. "Nonostante in tale sede si sia confermato l'embargo sulle vendite delle armi al paese asiatico, si lascia intravedere un possibile accordo nel 2005 per rivedere le posizioni della Comunità Europea in materia" - afferma la nota. "A tutto questo si devono aggiungere - sottolinea sempre Rete Liliput - le parole pronunciate del capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, in visita ufficiale in Cina: con le sue dichiarazioni sull'embargo il Presidente Ciampi non fa altro rafforzare il fronte favorevole a riprendere il commercio di armi verso quel paese, come se si trattasse di un qualsiasi altro accordo di natura economica e commerciale. Di fatto si sta proponendo un'equivalenza tra prodotti di abbigliamento o di alto design e sistemi per il puntamento notturno per carri amati o parti essenziali di altre armi (di cui l'Italia ha, purtroppo, competenze da esportare).

Le associazioni ricordano che lo scorso novembre il Parlamento europeo ha riconfermato a stragrande maggioranza l'embargo di armi verso la Cina con una risoluzione nella quale si invita il Consiglio Ue e gli Stati membri a "non indebolire le restrizioni attualmente in vigore sulla vendita di tali armi finché la Cina non avrà compiuto passi concreti verso un miglioramento della situazione dei diritti umani nel paese".

Nonostante l'embargo dell'Ue, in vigore dal 1989 dopo la strage di piazza Tiananmen, l'anno scorso il Governo Berlusconi ha autorizzato esportazioni di armi alla Cina per oltre 127 milioni di euro che fanno della Repubblica popolare cinese il terzo Paese acquirente dei sistemi d'arma "made in Italy". Oltre alle violazioni dei diritti umani e le condanne a morte (più di 5000 lo scorso anno tra cui vari dissidenti politici), la Cina continua a vendere armi allo Zimbabwe nonostante l'embargo internazionale verso lo stato africano, un fatto che dimostra come la Cina sia un Paese a forte rischio di "triangolazioni".

"Tutto questo contrasta con le disposizione della legge sull'export di armi italiane che, sebbene depotenziata in questa stessa legislatura (dalla 185/90 si è passati alla 148/20039, continua a prevedere nel suo impianto di base l'impossibilità di trasferimenti verso paesi protagonisti di gravi violazioni dei diritti umani o che siano sottoposti ad embargo internazionale" - sottolinea la Rete Lilliput che ricorda come nel 2003 l'Italia ha venduto armi a paesi come India e Pakistan, Indonesia, Nigeria, Arabia Saudita, Israele, Siria che certo non possono ritenersi modelli di garanzia per la tutela dei diritti umani o per la prevenzione dei conflitti". [GB]

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