Anche l’Islanda si ritira dalla caccia alle balene

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Foto: Rudolf Kirchner da Pexels.com

La notizia ha lasciato molti a bocca aperta e per fortuna, per una volta, per un buon motivo. Il governo islandese ha sospeso l’annuale caccia alle balene fino alla fine di agosto per preoccupazioni che riguardano il benessere degli animali. Una decisione che fa sperare per la fine definitiva nel Paese di una pratica controversa e discutibile. Gruppi di animalisti e ambientalisti hanno accolto con plauso la notizia, che è stata definita dalla Humane Society International “una pietra miliare nella conservazione compassionale delle balene”.

Ho preso la decisione”, ha dichiarato il Ministro dell’Alimentazione Svandis Svavarsdottir in un comunicato stampa di “sospendere la caccia alle balene fino al 31 agosto”, dopo che un report commissionato dal governo stesso metteva in luce il fatto che la caccia ai cetacei non rispetta l’“Iceland’s Animal Welfare Act”, un documento nazionale per la tutela del benessere animale.

Il recente monitoraggio commissionato dall’autorità statale sulla caccia alla balenottera comune (Balaenoptera physalus) ha rilevato che la mattanza è una questione di tempo: un tempo lungo, di agonia, che non rispetta i crismi del benessere animale. Video scioccanti mostrano operazioni di uccisione che richiedono fino a 5 ore perché l’animale muoia.E se il governo non riesce a garantire i requisiti minimi, queste attività non hanno futuro”, ha proseguito il Ministro.

In Islanda rimane una sola compagnia di balenieri, la Hvalur, e la licenza di caccia scade nel 2023. Un’altra realtà ha chiuso la propria attività nel 2020, motivando lo stop con ragioni economiche legate allo scarso profitto ricavato. Considerato che la stagione della caccia in Islanda va da metà giugno a metà settembre, è probabile che la Hvalur non opterà per non uscire in mare per sole un paio di settimane.

Le quote annuali autorizzerebbero ad oggi la caccia di un numero massimo di 209 balenottere comuni (il mammifero più lungo al mondo dopo le balenottere azzurre) e di 217 balenottere minori (Balaenoptera acutorostrata), una tra le specie più piccole. I numeri però si erano già ridotti drasticamente negli ultimi anni a causa di un mercato sempre meno interessato al prodotto, con una diminuzione della domanda e una ritrosia sempre più evidente da parte del consumatore, soprattutto straniero, che non è più avido di prodotti derivanti dalle balene, ma preferisce un turismo legato al whale watching.

Oltre all’Islanda, sono ormai solo la Norvegia e il Giappone gli unici Paesi rimasti al mondo che ancora continuano le operazioni di caccia non solo contro la moratoria internazionale di International Whale Commission (IWC) ma anche a fronte di enormi critiche provenienti dai difensori dei diritti degli animali e da chi ha a cuore l’ambiente, nonché da buona parte dell’opinione pubblica. Quello islandese potrebbe quindi essere un monito anche per loro perché se l’uccisione non può avvenire con caratteristiche adeguate qui, non può esserlo nemmeno altrove – ammesso poi che, anche in caso di uccisioni meno cruente, la pratica possa davvero essere considerata accettabile.

La motivazione addotta dal Governo non è una vera e propria ammissione della barbarie di queste tecniche: potenzialmente, se la qualità delle mattanze migliorasse e fosse garantito un miglior trattamento dei cetacei, l’autorizzazione potrebbe essere di nuovo riaperta. Certo è che, come sostenuto da Ruud Tombrock, direttore esecutivo per l’Europa della Humane Society International, “non esiste un metodo umano per uccidere una balena in mare e quindi diventa necessario rendere questo provvedimento permanente, non temporaneo.

Le balene affrontano già sufficienti pericoli negli oceani, molti dei quali derivanti dalla nostra azione: inquinamento, cambiamento climatico, rischio di impigliarsi in reti da pesca e collisioni con le grandi imbarcazioni. Eppure le balene restano preziosi architetti dell’oceano: potenziano la biodiversità, aiutano a combattere le variazioni climatiche influenzando il ciclo del carbonio e contribuiscono all’equilibrio dell’ecosistema marino con una serie di apporti di cui anche noi vi abbiamo nel tempo parlato. La fine di questa pratica crudele sarebbe solo l’unica conclusione etica possibile ad anni di massacri.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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