Altolà al razzismo

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Nel Paese di Burlandia tutti gli integerrimi cittadini godono di fama di brava gente e, rispettosi delle istituzioni e delle norme della comunità, trascorrono le loro giornate tra lavoro-famiglia-amici. Talvolta gli stessi si trovano a discorrere delle storture del mondo nonché dei nuovi vicini di casa o compagni di lavoro che sembrano così diversi da loro, per nomi, carnagione, gusti alimentari, fede religiosa, usanze familiari. Talvolta il dialogo prende spunto da battute quali: “Razzista a chi?” dice l’uomo di strada. “Io non sono razzista ma…” risponde l’altra da una poltrona di un talk show. “I veri razzisti sono quelli che discriminano a noi di Burlandia” osserva un altro, forte dei propri convincimenti. “Prima gli interessi e le esigenze di noi veri cittadini di Burlandia” aggiunge un’altra signora appena sopraggiunta e pronta a prender parte alla chiacchiera. Spesso queste dinamiche di dialogo sono riprodotte dai media di Burlandia sulle testate giornalistiche o in tv, strizzando così l’occhio a una conversazione basata su preconcetti, sentito dire, stereotipi e bufale assurte a verità grazie al suo ordinario ripetersi. Ed è così che, anche per molti a Burlandia, la Giornata mondiale per l’eliminazione della discriminazione razziale che ricorre oggi appare una commemorazione formale a cui poco badare, proseguendo sulla base delle convinzioni sul proprio non professato razzismo pur esprimendo concetti razzisti, ormai introiettati e poco disposti al raffronto con la realtà. È così possibile che con noncuranza saranno posizionati sulla stessa bacheca di facebook un post per dire “No al razzismo” con tante mani bianco-nere incrociate e un articolo che urla alla vergogna di un sistema sociale tipico del Burlandia che predilige gli interessi degli stranieri, specie quelli fannulloni o che delinquono.

Senza scomodare fior fiore di analisi di intellettuali politici, il noto vocabolario Treccani alla voce “razzista” scrive che “è chi predica e pratica il razzismo, inteso come ideologia, teoria e prassi politica e sociale fondata sull’arbitrario presupposto dell’esistenza di razze umane biologicamente e storicamente ‘superiori’, destinate al comando, e di altre ‘inferiori’, destinate alla sottomissione, e intesa, con discriminazioni e persecuzioni contro di queste”. Una definizione che indica chiaramente come le dinamiche rinvenute a Burlandia siano facilmente riscontrabili anche nel nostro Belpaese, nel quale è sempre più evidente che si stanno diffondendo e consolidando forme di razzismo fino a pochi anni fa più nascoste e limitate. Le cosiddette “invasioni” di migranti, di richiedenti asilo e di profughi, un magma indistinto di stranieri nella percezione comune, sono state fra le espressioni che più hanno costruito tale immaginario e su cui molte organizzazioni politiche e sociali hanno scelto di cavalcare l’onda dello scontento popolare.

Non c’è dubbio che il binomio tra razzismo e migranti sia ormai il più diffuso, e non solo in Italia. Per questa ragione l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ha indirizzato particolare attenzione in questa Giornata mondiale proprio al dovere di eliminare la discriminazione razziale che colpisce i migranti e i rifugiati. Siamo probabilmente lontani dagli anni in cui la segregazione razziale albergava spesso come legge dello Stato: proprio la ricorrenza del 21 marzo è stata posta a memoria della tragica uccisione da parte della polizia di 69 manifestanti che protestavano pacificamente contro la politica dell’apartheid. Era il 1960 e tali cruenti fatti avvennero a Sharpeville, in Sudafrica. Oggi le discriminazioni continuano a toccare i neri e i “colorati” di molti Stati ma ancor di più gli “stranieri” (poveri) presenti all’interno di uno Stato, troppo spesso privi di diritti e costretti a vessazioni e umiliazioni. È in questo contesto che appaiono particolarmente declamatorie, ma prive di contenuti, le campagne attivate in questa Giornata. Se “a colori è meglio” recita lo slogan della XIII settimana d’azione contro il razzismo attualmente in corso organizzata dall’UNAR, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, nell’analoga campagna europea contro il razzismo si manifesta al grido di “Non dividiamoci! Stiamo uniti!”.

Come possono conciliarsi tali proclami con la politica messa effettivamente in campo dall’Italia sul fronte migrazione e accoglienza? Come non connettere questa sbandierata bellezza di una comunità italiana arcobaleno con l’assenza, ancora ad oggi, del cosiddetto “ius soli”, ossia del riconoscimento della cittadinanza italiana ai bambini e ai ragazzi che sono nati e cresciuti in Italia ma figli di genitori stranieri? Come non pensare agli sfaldamenti del mercato del lavoro italiano che offre agli stranieri in condizioni di clandestinità un impiego nella manovalanza agraria, gestita secondo forme di schiavismo che le istituzioni non riescono, o forse non intendono, abbattere? L’incendio che poche settimane fa ha distrutto il “gran ghetto” di Rignano, alle porte di Foggia, e in cui hanno perso la vita due giovani uomini del Mali, ha dato per qualche ora visibilità al degrado in cui migliaia di persone, raccoglitori di ortaggi e frutta, stanno cercando di sopravvivere nel Paese. È questa l’immagine di un’Italia che accetta di buon grado il multiculturalismo e che sta costruendo il futuro di una comunità coesa? Non credo. Purtroppo.

Analogo spettacolo viene da un’Unione Europea allo sbando che, pur di limitare l’afflusso di migranti sul continente, di buon grado accetta di stringere accordi con la Turchia del presidentissimo Erdogan e con la Libia devastata dalla guerra civile, entrambi i Paesi riconosciuti violatori di diritti umani fondamentali. Non si tratta affatto di politiche assennate ma di politiche razziste.

Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.

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