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Algeria: i media ancora sotto tiro
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Tre quotidiani chiusi negli ultimi mesi, due giornalisti ancora in carcere dopo processi sommari, circa 250 querele per diffamazione contro giornalisti e testate. È quanto emerge dal dossier "Libertà di espressione in Algeria", presentato ieri a Roma alla Fondazione Adriano Olivetti, realizzato dall'associazione di giornalisti indipendenti Lettera22 e dall'agenzia multimediale Amisnet, in collaborazione con Reporter senza frontiere (Rsf) e Amarc (Associazione radio comunitarie), e con il sostegno della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi).
Un dossier che dà fastidio a qualcuno che ieri ha fatto una "spiacevole telefonata" intimidatoria all'associazione Lettera22 e all' agenzia Amisnet. "Un atto odioso ed insopportabile che il sindacato dei giornalisti italiani condanna duramente" - ha dichiarato il segretario generale della Fnsi, Paolo Serventi Longhi. "La Fnsi e la Federazione internazionale dei giornalisti sono da sempre impegnate nella difesa dei diritti dei giornalisti e della libertà di stampa in tutte le nazioni" - ha ribadito.
Ancora oggi, terminati gli anni bui della guerra civile, i giornalisti algerini sono infatti vittime di intimidazioni e censure. La carta stampata, in particolare, subisce le pressioni del governo che detiene quasi tutte le tipografie e può usare i debiti inevasi dai giornali come efficace mezzo di controllo o giustificazione per far chiudere i battenti alle redazioni. Com'è accaduto, per esempio, alle tre testate chiuse di recente: Le Matin chiusa sine die, Le Nouvel Algérie Actualité sospesa e El Djarida tornata da poco in edicola. Senza dimenticare il caso del quotidiano di Orano Er-ra㯀, che manca dalle edicole da più di un anno, i cui vertici (direttore ed editore) hanno scontato quest'estate periodi di detenzione.
Dopo la rivolta berbera in Kabylia nel 2001, repressa duramente dal governo, la legislazione sui media è stata resa sempre più restrittiva, rendendo possibile uno stretto controllo da parte del governo sugli organi di informazione. In particolare, l'emendamento 144 bis al codice penale ha introdotto pene pesantissime per i reati di diffamazione contro qualsiasi autorità statale o costituita. Nella speciale classifica sulla libertà di stampa redatta annualmente da Rsf, l'Algeria figura, nel 2003, al 108° posto su 166 paesi esaminati.
Neanche il panorama radio-televisivo è incoraggiante: in questo settore vige il monopolio pubblico sancito dal codice sull'informazione algerino. L'unica concorrenza possibile è dunque quella che arriva via satellite in lingua francese o araba. La chiusura di Al Jazeera il 30 giugno scorso, "fino a nuovo ordine", da parte del ministero della Cultura e della comunicazione algerino, dimostra però come sia facile mettere a tacere le voci non allineate. L'ambizioso progetto di Khalifa Tv, una tv satellitare che avrebbe dovuto rappresentare la nuova voce del Maghreb, è naufragato dopo appena sei mesi. Il governo ha inoltre introdotto uno stretto controllo sull'accreditamento dei corrispondenti stranieri: risale al luglio dell'anno scorso l'espulsione di diversi corrispondenti di testate francesi e belghe.
Se gli anni neri della guerra civile - quando tra il 1993 e il 1996 ben 57 giornalisti furono uccisi soprattutto per mano dei gruppi armati di opposizione - sono ormai alle spalle, la situazione della libertà d'espressione in Algeria appare oggi giunta a un nuovo bivio. "È indispensabile a questo punto porre sulla bilancia anche la questione del terrorismo, nelle sue complesse declinazioni degli ultimi anni di storia algerina. Uno dei punti più scottanti sia per la memoria storica nazionale che nell'ambito dei rapporti tra potere e società civile" - conclude la nota di Lettera 22. [GB]