Agli uomini bianchi non piace Hillary Clinton

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Tra i quotidiani americani, le notizie riguardanti le primarie per la presidenza degli Stati Uniti, ovviamente, spopolano. Così accade per molti altri argomenti ad esse correlati, tra cui: perché Hillary Clinton fatica a raccogliere consensi tra i maschi bianchi?

La risposta più semplice ed intuitiva potrebbe essere: perché è una donna. E così, allo stesso modo, le donne sono più propense a votare per lei rispetto che per candidati di sesso maschile. Ma questa è una spiegazione semplice, e come tutte le semplificazioni necessita di essere messa in dubbio: è quello che fa Debbie Walsh, direttrice del Center for American Women and Politics presso la Rutgers University, New Jersey. La Walsh sostiene che “è’ l’economia a guidare il divario di genere, e non il sesso del candidato. Per le donne, c’è un senso di vulnerabilità economica che le porta a credere che potrebbero aver bisogno di reti di sicurezza da parte del governo, un giorno: programmi come la maternità, il “Medicare”… le donne vivono più a lungo, guadagnano meno e hanno risparmi più bassi per la pensione. Da qui l’inclinazione a votare per il Partito Democratico”.

In realtà, è dagli anni ’80 che le donne sono più inclini degli uomini a votare per i democratici: il divario, però, sta aumentando e al tempo stesso si sta complicando. Si, perché gli uomini bianchi che votavano per i democratici stanno spostando le loro preferenze verso Donald Trump, l’ormai sicuro candidato Repubblicano, e al tempo stesso guardano favorevolmente a Bernie Sanders, che è in fondo un pesce fuor d’acqua nel Partito Democratico.

Brad Howard, un agente immobiliare che ha deciso quest’anno, per la prima volta, di sostenere i Repubblicani, dice che i suoi amici sono divisi tra il votare per Sanders o per Trump. “Parlano entrambi di lavoro, commercio, costo dell’educazione… ma offrono soluzioni diverse”. Certo è che Trump e Sanders non rappresentano la solita classe politica: sono meteoriti in entrambi i partiti per cui corrono alla presidenza della Casa Bianca e questo, agli elettori, piace.

Piace soprattutto alla categoria che stiamo analizzando, i maschi bianchi di classe media: sono quelli che hanno visto i loro risparmi e le loro professioni scomparire e nello stesso tempo ascoltano campagne elettorali che si concentrano sugli afro e i latino americani, sulle donne, sui giovani, senza considerare che loro sono milioni; 19,7 milioni di americani bianchi vivono al di sotto della soglia di povertà. Lo stesso Sanders ha detto in un dibattito che “le persone bianche non sanno cosa significhi vivere in un ghetto”, e ha dovuto ritrattare il giorno seguente.

Ancora, molti non gradiscono le proposte di Hillary: super liberali, spinte ancor più a sinistra dalla agguerrita campagna contro il senatore Sanders. Molti degli appartenenti alla categoria dei maschi bianchi di classe media, l’hanno votata nel 2008 contro Obama ed ora hanno rivolto il loro sostegno verso Trump. Nel 2008, lei si rivolgeva a loro esplicitamente, facendosi gioco di Barack Obama quando diceva che “i lavoratori della classe operaia rimangono ancorati alle pistole e alla religione” e punzecchiandolo per le sue difficoltà con “i lavoratori, i veri lavoratori americani, gli americani bianchi”. Al contrario, oggi Hillary si scaglia contro l’industria degli armamenti, parla agli ispanici e agli afro-americani, tra i quali ha un consenso più vasto che Bernie Sanders.

Altro elemento fondamentale: lo sapevate che le donne votano di più degli uomini negli Stati Uniti? Nel 2012, ad esempio, le donne votarono al 63.7%, contro il 59.8% maschile. Così, la “questione di genere” nelle elezioni statunitensi ha ancora più peso, visto che il 70% delle donne ha una cattiva opinione di Trump, che dispensa da mesi pesanti commenti sessisti.

I dati parlano chiaro: secondo la “Quinnipiac University” ( Connecticut), dopo i risultati in  Florida, Ohio, Pennsylvania, la Clinton ha vinto con un vantaggio di 19 punti rispetto alle votanti donne su Trump, in Pennsylvania, ma Trump ha vinto di 21 punti sugli uomini. In Ohio, la Clinton ha vinto di 7 punti tra le donne, ma ha perso di 15 tra gli uomini. Infine, le donne della Florida hanno votato per Clinton ( +13 punti) ma gli uomini del paese hanno bilanciato la situazione votando per Trump ( + 13 punti). Anche in Connecticut e Maryland, lo scarto di genere era di circa 20 punti.

Nelle ultime settimane, Trump ha iniziato ad attaccare apertamente la Clinton, accusandola di utilizzare la “carta femminile”. Ma come spiegato prima, non è solo il sesso del candidato a contare; nonostante ciò, non lo si può considerare indifferente e la retorica per cui “sarebbe bello avere la prima presidentessa donna degli Stati Uniti” è contestabile quanto quella del “primo presidente nero”. Si tratta di simboli - positivi, certo- che dimenticano però del tutto la personalità del candidato e i contenuti delle sue proposte.

Vorrei ricordare, per concludere, un articolo di Rebecca Traister, “Il potere delle single”, pubblicato sul New York Magazine e poi, tradotto, su una delle uscite di Marzo 2016 di Internazionale. Oggi le donne americane single sono più numerose di quelle sposate, e questa tendenza cambia la società e sposta la politica sempre più a sinistra. Nel 2012, il 67% delle donne single ha votato per Obama e oggi, stando a un paio di mesi fa, sembra più incline a votare per Sanders rispetto che per la Clinton, nonostante lei sia una donna.

La questione di genere è divenuta un elemento discriminante fondamentale per le elezioni americane: non può essere ignorata e comprenderne i motivi è fondamentale per capire l’evoluzione della società americana.  

Sofia Verza

Laureata in Giurisprudenza presso l'Università di Trento, ha studiato ad Istanbul presso le Università Bilgi e Yeditepe, specializzandosi nel campo del diritto penale e dell'informazione. Ad Istanbul, ha lavorato per la fondazione IKV (Economic Development Foundation), ricercando nel campo della libertà di espressione. E' stata vice presidente dell'associazione MAIA Onlus di Trento, occupandosi di sensibilizzazione sulla questione israelo-palestinese e cooperazione culturale in Cisgiordania. Scrive per il Global Freedom of Expression Centre della Columbia University e collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso

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