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A Trento la 71° edizione del Film Festival della Montagna
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Foto: archivio TFF
Per quella che ormai è diventata una delle manifestazioni più attese del panorama non solo degli eventi trentini, ma anche nazionali e internazionali, lentezza, profondità e dolcezza non sono certo le prime parole a venire in mente. La città durante il Trento Film Festival dedicato alla montagna diventa un alveare operoso di incastri, appuntamenti, eventi. Ci sono confusione e affollamento, ma anche tante storie e volti che raccontano di ambienti aspri, che mettono alla prova muscoli, rughe, cuore. Come per esempio la montagna di chi arrampica e cade, dovendo ricostruirsi una vita per nulla scontata (come nella storia della scalatrice Quinn Brett raccontata in An Accidental Life) o la montagna di chi sfida intemperie e solitudini per raggiungere una mèta che a volte è molto personale, a volte è segno di rinascita collettiva. Ci sono nomi blasonati, quelli che fanno allungare la fila all’entrata della sala dove presenzieranno, che hanno dato tanto alla montagna e le cui voci sono a tratti ancora autorevoli, a tratti un po’ fuori tempo. Intitolare un Festival alla lentezza, alla profondità e alla dolcezza poteva sembrare un tantino fuorviante – o modaiolo.
Eppure, un certo carattere lento, profondo e dolce in questo Festival lo incontri, se lo cerchi oltre il viavai di gente che fruscia per le vie del centro. Io l’ho trovato in sala, durante il primo pomeriggio di proiezioni. Ne ho scelte un paio un po’ a caso, sono sincera. Avevo un po’ di tempo libero e voglia di lasciarmi tentare dalle sensazioni, e ne sono grata. Perché è proprio lì che ho trovato delicatezza. Prima con Bitterbrush, presentato nella sezione “Concorso”: è il documentario di Emelie Mahdavian che segue la vita e il lavoro di due tenaci cowgirls durante la loro ultima stagione insieme a cavallo, accompagnate da immense mandrie di bestiame fra gli splendidi paesaggi montani dell’Idaho. Una vita cruda, certo, ma addolcita dall’amore che che le è dedicato, dalla dedizione e dalla presenza, nella quale nascono amicizie forti e vite nuove, siano bambine o vitelli.
E poi tanta tenerezza c’è in Custodi, proiezione speciale del documentario (in replica il 6 maggio) nel quale il regista Marco Rossitti ha raccolto una serie di ritratti dedicati a luoghi remoti e ai loro abitanti, che se ne prendono cura perché parte essenziale della propria identità.
“I luoghi appartengono a chi li abita”, dice in apertura il regista, presente in sala. E abitare Rossitti lo esplora in 3 significati in particolare: “quello di avere stabilmente la conoscenza approfondita di un luogo, quello di tenere sentimenti nell’animo e quello di costruire con attenzione, tenendo conto del fatto che il mondo che possiamo costruire è comunque all’interno di un orizzonte che ci è stato dato, quello della natura”. E la natura i “suoi” custodi la rispettano e ne rispettano il raccolto. Il loro è un “tenere” che non ha nulla a che vedere con il possedere o l’occupare – o con lo sfruttare (letteralmente, togliere i frutti). I veri custodi li riconosci per la profonda padronanza del territorio nel quale vivono e lavorano, acquisita dapprima attraverso la lezione dei padri, poi con l’osservazione attenta, la dedizione, la fatica: una consapevolezza dei luoghi intagliata nel volto e nelle mani, scolpita nella memoria e nell’anima. Essi proteggono le radici per far crescere i rami. In Custodi sono 12 le storie appese al filo della lentezza, della profondità e della dolcezza. Ma ce ne sono molte altre, e sono quelle di cui abbiamo più bisogno, quelle che fanno meno rumore e che possiamo provare a scovare nelle altre proposte del Trento Film Festival che ancora restano da esplorare.
Il programma è denso di eventi, mostre, momenti di riflessione letterari e legati alla salute delle e nelle Terre Alte, ma è certamente ricco anche di film e orizzonti vicini e lontani, che quest’anno ospitano volti e territori dell’Etiopia. Uno dei miei prossimi appuntamenti in calendario sarà “Più nei boschi che nei libri”, reading teatrale con Violante Placido e a cura di Raffaello Fusaro, che promette un viaggio musicale e letterario nella natura, in mezzo alle foreste, all’aria limpida delle montagne, all’ecologia del pensiero prima che delle abitudini. Un’esplorazione del desiderio non di un mondo migliore, ma di un migliore modo di stare al mondo. E voi, dove andrete?
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.