1 marzo, Roma: Salviamo la Costituzione

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Il Coordinamento nazionale delle iniziative contro il progetto di
riforma della II parte della Costituzione organizza una
manifestazione per il 1° marzo, data dell'avvio della votazione in
aula per la riforma della nostra Carta. L'appuntamento è fissato alle ore 16.30, in Piazza Navona, di fronte al Senato.*

I tempi sono ristrettissimi ed è difficile mobilitarsi ed
organizzare una partecipazione significativa in pochissimi giorni,
tuttavia dobbiamo farlo e non possiamo discutere i tempi, che ci
sono stati imposti dalla improvvisa accellerazione che il Governo ha
dato alla riforma, portanto il testo in aula prima che terminasse
l'esame in Commissione, per imporre una discussione blindata ed una
approvazione senza modifica alcuna del testo approvato dalla Camera
dei Deputati. La votazione finale è prevista per l'8 marzo.

**

*A questo punto è essenziale che tutte le persone e le associazioni
che si stanno impegnando sul fronte del No diano un segno di vita,
in modo che tutti insieme possiamo portare in piazza, in forma
visibile, il dissenso e far emergere l'allarme per lo stravolgimento
della Costituzione che sta avvenendo - finora - nella quasi
indifferenza generale*.

*Poichè non abbiamo ancora messo a regime una macchina
organizzativa, ciascuno di noi deve diventare spontaneamente agente
della organizzazione di un fatto collettivo.*

*Chiedo a tutte le associazioni, i movimenti ed i partiti che
aderiscono al comitato di attivare i propri circuiti di
comunicazione, inoltrare a tutte le mailing list frequentate il
messaggio con la convocazione della manifestazione e l'appello a
parteciparvi, diffondere comunicati stampa e praticare ogni altra
forma di comunicazione possibile, ivi compresa quella telefonica,
telefondando a tutte le persone che possiamo raggiungere.*

**

Costruire la partecipazione, accettando la sfida del poco tempo che
abbiamo a disposizione.

E' la prima sfida che il Comitato romano si trova ad affrontare ed è
anche il banco di prova della nostra capacità di azione.

Dunque, buon lavoro a tutti.

Domenico Gallo

Per comodità di lettura inserico - di seguito - l'ottimo articolo
di Luigi Ferrajoli pubblicato dal manifesto di giovedi 24 febbraio.

**

*La Carta stravolta
*LUIGI FERRAJOLI
E' cominciata silenziosamente in senato la discussione sul progetto
governativo di revisione costituzionale già approvato dalla camera
in una prima lettura nello scorso ottobre. Si tratta chiaramente,
per le sue dimensioni e per lo stravolgimento progettato, di una
/nuova costituzione/, promossa da una coalizione di forze - Alleanza
nazionale, Forza Italia e Lega nord - nessuna delle quali ha
partecipato alla formazione della Costituzione attuale. Il senso
politico dell'operazione è chiaro. Ciò che si vuole realizzare è una
completa rottura della continuità costituzionale al fine di
rifondare la Repubblica sulle forze che alla Costituzione del '48 e
alla sua origine antifascista furono estranee od ostili. Proprio
perché non si riconosce nella Costituzione vigente, questa nuova
destra, oggi maggioritaria in parlamento ma non nel paese, pretende
di archiviarla, di varare una /sua/ costituzione a sua immagine e
somiglianza, di rompere il vecchio patto di convivenza che non a
caso Berlusconi ha squalificato come "sovietico". Di qui una prima
domanda: è legittima, sul piano delle forme e del metodo, una simile
riforma, non consistente in una semplice "revisione" costituzionale
ma nella confezione di una costituzione del tutto diversa, che
cambia al tempo stesso la forma di stato, da nazionale a federale, e
la forma di governo da parlamentare a para-presidenziale e
tendenzialmente monocratica? La risposta è chiaramente negativa. La
nostra Costituzione, come del resto la quasi totalità delle
costituzioni democratiche, non ammette il varo di una nuova
costituzione, neppure a opera di un'ipotetica assemblea costituente
eletta con il metodo proporzionale che pur decidesse a larghissima
maggioranza. Il solo potere ammesso dal suo articolo 138 è un potere
di revisione, che non è un potere costituente ma un potere
costituito, il cui esercizio può consistere solo in specifici
emendamenti; laddove, se diretto a dar vita a una nuova
costituzione, esso si converte in un potere costituente e sovrano,
anticostituzionale ed eversivo, in contrasto, oltre che con
l'articolo 138, con il primo articolo della Costituzione secondo cui
"la sovranità appartiene al popolo" che da nessuno può esserne
espropriato.

Ciò cui invece stiamo assistendo è l'approvazione a colpi di
maggioranza di un testo che altera l'intero assetto istituzionale,
modificando competenze e regole di formazione e funzionamento di
tutti gli organi costituzionali: del parlamento e del governo, del
presidente della Repubblica e del presidente del consiglio, dello
stato e delle regioni. Il precedente della sconsiderata riforma del
titolo V varata dall'Ulivo è invocato a sproposito: benché
gravemente colpevole, quella riforma fu pur sempre una revisione
settoriale della Costituzione che per di più riprodusse, nella
sostanza, una modifica che era stata approvata qualche anno prima
dai due schieramenti nella bicamerale. L'attuale disegno riscrive
invece ben 43 articoli della seconda parte, con gli inevitabili
riflessi sulla prima. E' la vecchia idea che Gianfranco Miglio
espresse brutalmente dieci anni fa, dopo la prima vittoria
elettorale delle destre: la costituzione non è un accordo tra tutti
sulle regole del gioco ma è un "patto che i vincitori impongono ai
vinti".

Ma questa nuova costituzione è illegittima non solo sul piano del
metodo, ma anche su quello dei contenuti, che come stabilì una
storica sentenza della Corte costituzionale del 1988 non possono
derogare ai "principi supremi" della Costituzione. Non mi soffermo
sulla cosiddetta "devolution", che assegnando in maniera esclusiva
alle regioni scuola, sanità e funzioni di polizia, rompe l'unità
della Repubblica che si basa sull'uguaglianza dei cittadini nei
diritti fondamentali, quali sono in particolare i diritti sociali
alla salute e all'istruzione.

Neppure mi soffermo sull'incredibile complicazione, quasi un
sabotaggio della funzione legislativa, divisa tra ben quattro tipi
di fonti - leggi della camera, leggi del senato, leggi bicamerali,
leggi del senato con "modifiche essenziali" su iniziativa del
governo e, in più, commissioni e comitati paritetici per decidere
chi deve legiferare e mediare i conflitti - con l'inevitabile caos
istituzionale, le incertezze e gli infiniti contenziosi che
proverranno da una ripartizione inevitabilmente astratta e generica
delle quattro competenze. L'aspetto più grave di questa riforma,
senza confronti né precedenti in nessun sistema democratico,
consiste nella demolizione del principio della rappresentanza
politica, che è indubbiamente un "principio supremo" sottratto al
potere di revisione. Viene anzitutto capovolto il rapporto di
fiducia tra parlamento e governo: non sarà più il primo ministro,
legittimato direttamente dal voto popolare, che dovrà avere la
fiducia del parlamento, ma sarà il parlamento che dovrà avere la
fiducia del primo ministro, il quale potrà scioglierlo in forza di
un potere affidato non più al presidente della Repubblica ma alla
sua "esclusiva responsabilità". E' prevista soltanto la mozione di
sfiducia, votata dalla camera per appello nominale, approvata dalla
maggioranza assoluta dei suoi componenti e seguita dal suo
scioglimento, salvo che sia accompagnata dalla "designazione di un
nuovo primo ministro da parte dei deputati appartenenti alla
maggioranza espressa dalle elezioni, in numero non inferiore alla
maggioranza dei componenti della camera". Non solo: "il primo
ministro si dimette altresì qualora la mozione di sfiducia sia stata
respinta con il voto determinante dei deputati non appartenenti alla
maggioranza espressa dalle elezioni".

Io credo che queste norme anti-ribaltone siano il vero cuore della
riforma: il segno inequivoco della svolta che si intende realizzare.
Grazie ad esse saranno impossibili le crisi di governo parlamentari.
Maggioranza e minoranza vengono blindate, sicché solo i parlamentari
della maggioranza avranno un potere di iniziativa politica e di
responsabilizzazione dell'esecutivo, mentre i parlamentari della
minoranza non conteranno nulla. E' la fine della rappresentanza
"senza vincolo di mandato", sancito quale principio basilare della
democrazia politica dall'art.67, essendo ciascun parlamentare
vincolato alla coalizione di appartenenza.

Non si tratta di una semplice "riforma". Con questa rigida
separazione tra maggioranza e minoranza il parlamento viene di fatto
emarginato. Già con il sistema maggioritario è stata abolita
l'uguaglianza nel voto dei cittadini. Il nuovo sistema abolisce ora
anche l'uguaglianza del voto dei parlamentari ed estromette di fatto
l'opposizione da ogni funzione di controllo e di mediazione
politica. Non solo. Esso vanifica anche la rappresentatività e la
responsabilità politica dei parlamentari della maggioranza, i quali
risulteranno vincolati da un rapporto di mandato imperativo, non già
dal basso ma dall'alto, nei confronti del primo ministro. Queste
norme sono infatti dirette non solo a neutralizzare l'opposizione ma
soprattutto a disciplinare, a ricattare e di fatto a neutralizzare
ogni potere di controllo della stessa maggioranza parlamentare. Ne
risulterà una totale irresponsabilità del primo ministro di fronte
al parlamento in favore di un suo rapporto organico, diretto, con
l'elettorato.

Si sta insomma progettando la soppressione della democrazia
parlamentare e forse della democrazia /tout court/. Giacché un
organo monocratico non accompagnato da un parlamento indipendente
non può per sua natura, come insegnava Hans Kelsen settant'anni fa,
rappresentare tutto il popolo, che non è un'entità omogenea ma una
pluralità di soggetti e di interessi attraversata da conflitti
politici e di classe. La democrazia, aggiungeva Kelsen, "è un regime
senza capi". E l'idea di un rapporto organico tra un capo e il
popolo intero è un'idea organicistica e populista che contraddice la
nozione stessa della democrazia, non diciamo costituzionale ma
semplicemente "rappresentativa".

Per questo sarebbe essenziale - prima che lo scempio si compia,
prima della seconda lettura del progetto da parte del parlamento -
un messaggio motivato del presidente della Repubblica che quanto
meno ricordi alle camere i limiti del potere di revisione, il fatto
che la Costituzione è un patrimonio di tutti e l'inviolabilità dei
principi supremi tra i quali rientrano indubbiamente la
rappresentanza politica senza vincolo di mandato e il ruolo di
iniziativa, di controllo e mediazione di un libero parlamento. Se
c'è un caso in cui l'esercizio del ruolo di garante della
costituzione del presidente della Repubblica è doveroso, esso è
proprio questo; tanto più che per le leggi di revisione
costituzionale ben difficilmente il presidente potrebbe ricorrere al
potere di rinvio previsto dall'art.74 prima della promulgazione, la
quale fa seguito al referendum confermativo.

Ma ancor più essenziale è l'informazione dell'opinione pubblica e la
sua mobilitazione intorno al pericolo incombente. Temo che alla base
dell'inerzia dell'opposizione ci sia una scarsa consapevolezza
intorno alla gravità della posta in gioco e, insieme, il solito
timore di "demonizzare" un avversario che si rivela ogni volta
peggiore e, oltre tutto, accusa quotidianamente la sinistra di
preparare al paese terrore, miseria e morte. E' invece necessario
drammatizzare la questione costituzionale proponendola,
semplicemente, come emergenza democratica: come la scelta, cui
saremo chiamati con il referendum costituzionale tra l'istituzione
di un regime e la sopravvivenza della democrazia. Solo così, del
resto, il referendum potrà essere vinto: solo se diventerà una
grande battaglia di principio, non inquinata da proposte di
compromesso, consapevole della posta in gioco e dei guasti già
prodotti dall'avventura berlusconiana, capace di rifondare, nel
senso comune, il valore della Costituzione repubblicana quale
fondamento della nostra democrazia!

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