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Il migrante e il cellulare: una storia semplice
Codici di condotta
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Un venerdì pomeriggio salgo su un treno regionale Como-Milano e mi siedo accanto ad un giovane eritreo dall'aspetto riservato. Incuriosita dai suoi modi gentili, gli faccio qualche domanda e scopro che si chiama Sami, ha 26 anni ed è da poco sbarcato a Lampedusa dopo un viaggio infernale in cui hanno trovato la morte molte persone. Il suo obiettivo è lasciare l'Italia e chiedere asilo in Svizzera: ha con sé solo un biglietto del treno per Chiasso, non un bagaglio, né documenti e tantomeno soldi.
Eppure, invece di condividere la sua situazione di difficoltà, ci tiene a rimarcare la grande capacità di accoglienza e solidarietà degli italiani. Impressionata dalla sua carica di energia positiva, mi viene spontaneo offrirgli un piccolo contributo per pagarsi il biglietto del treno per Zurigo. Devo insistere, perché non vuole accettare. Durante tutto il viaggio Milano-Como mi parla timidamente del suo paese e di sé. Non si sofferma molto sul dramma che l'Eritrea sta vivendo da oltre 20 anni e preferisce raccontarmi del suo lavoro di autista e della sua passione per il calcio.
Gli lascio i miei recapiti e, mentre mi giro per salutarlo, noto la presenza di alcuni viaggiatori, che commentano la leggerezza con cui avrei dato confidenza ad un immigrato. Come per volermi proteggere da chissà quale pericolo, il più anziano mi consiglia di non "farmi prendere troppo" da racconti che potrebbero essere falsi. Faccio notare al signore che il ragazzo non ha bisogno di ricorrere alla fantasia per impressionarmi sul suo paese o sui profughi che muoiono in mare.
Alla stazione, cerco i miei telefoni cellulari nella borsa per chiamare il mio compagno e realizzo che di questi non c'è traccia. Non appena intravedo il mio compagno, lo prego di farne squillare uno dei due. Risponde immediatamente Sami e mi conferma che li ho sbadatamente lasciati sul treno. Mi organizzo quindi per recuperarli a Chiasso. Arrivata in prossimità della stazione, lo chiamo fiduciosa varie volte, ma non risponde. Il mio compagno mi fa notare che, molto probabilmente, i cellulari non li avrei più ritrovati: Sami ha verosimilmente deciso di tenerli... e come biasimarlo? Non avendo null'altro con sé avrà forse deciso di usarli per chiamare i suoi familiari e magari avrà pensato di venderli successivamente.
Continuo a vagare per la stazione dei treni di Chiasso finché non fermo un poliziotto svizzero e gli chiedo se ha visto per caso un ragazzo eritreo. Devo sorbirmi anche la sua predica: "il ragazzo eritreo ha i suoi cellulari? Ma le sembra il caso di lasciare un iPhone 6 sul treno? Ma Brava!". Probabilmente gli faccio pena dato che subito dopo si offre di accompagnarmi al centro profughi di Chiasso, dove mi rendo ridicola ulteriormente, dichiarando in portineria che sto cercando un ragazzo eritreo con i capelli ricci di nome Sami, che dovrebbe avere i miei cellulari, custoditi dentro una borsetta azzurra. "Signora, ma sono tutti ricciolini e neri".
Quando ho ormai perso ogni speranza, risponde inaspettatamente un poliziotto svizzero: "abbiamo noi i suoi cellulari, venga al quarto binario, presso la dogana svizzera, a ritirarli: ce li ha consegnati entrambi un ragazzo eritreo". Mi illumino, ma sono combattuta: da una parte, mi sento rincuorata dal fatto che riprenderò possesso della mia "rete" di contatti, dall'altra realizzo lucidamente che si tratta di frammenti di relazioni che nulla hanno a che vedere con quanto ha perso Sami.
Arrivata in dogana, non trattengo le lacrime: inizio a piangere non appena vedo il poliziotto con la mia borsetta azzurra. Gli confido che le persone a cui mi ero rivolta dopo lo smarrimento dei telefoni erano tutte convinte che Sami fosse salito al volo su qualche altro treno con i miei cellulari. Il poliziotto ci tiene a fugare ogni dubbio, ribadendo l’onestà e la preoccupazione di Sami, che ha insistito affinché i suoi colleghi rispondessero alle mie continue telefonate. Prego il poliziotto di accompagnarmi da Sami: ci abbracciamo e salutiamo al volo, entrambi soddisfatti. D'altronde, Sami era riuscito a varcare il confine e poteva finalmente sperare in un nuovo inizio ed io potevo riprendere possesso del mio mondo ovattato, racchiuso nei miei agognati cellulari.
Giulia Galera
Fonte: Trentino