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Storia
Gli ucraini attuali discendono dalle popolazioni slave che s'insediarono nelle terre a cavallo del fiume Dnepr tra il sec. VI e il VII. Nel sec. IX la regione da essi occupata divenne con la città di Kijev il centro di una vasta organizzazione statale estesa dal Mar Baltico sin quasi al Mar Nero, nota col nome di Rus’ e governata dalla dinastia di origine scandinava fondata da Rjurik “il rosso”. Lo sviluppo della civiltà kijeviana collocò il gruppo etnico ucraino in una posizione storica di preminenza rispetto agli altri gruppi della stessa area geografica; a Kijev furono introdotti verso l'anno Mille il cristianesimo e con esso l'alfabeto cirillico e molti elementi della cultura greco-bizantina che poi gradualmente si estesero a tutta l'area russa. Duri furono per la Rus’ kijeviana i sec. XI e XII sia per le incessanti lotte dinastiche sia per le reiterate scorrerie dei Polovcy (detti anche Cumani), invasori nomadi d'origine turca che devastarono le terre ucraine.
Nel sec. XIII poi, Kijev fu distrutta (1236) e gran parte dell'attuale Ucraina venne occupata dai Mongoli che ne fecero parte del proprio stabile dominio (lo Stato dei Tartari dell'Orda d'Oro, con capitale a Sarai, sul Volga). Intanto, già a partire dal sec. XII, nella parte occidentale dell'Ucraina era andato formandosi un altro Stato che comprendeva la Volinia e il bacino dell'alto Dnestr con la città di Galič e che rimase libero dal dominio dell'Orda d'Oro. Questo principato, dopo un periodo di splendore, si sfasciò nel sec. XIV, quando la Volinia fu conquistata dal granducato di Lituania e la regione di Galic (o Galizia) dal regno di Polonia.
Alla fine del secolo, con l'unione dinastica polacco-lituana, l'intera regione occidentale dell'attuale Ucraina divenne parte del più esteso regno polacco. I polacchi instaurarono un regime duro, esoso e intransigente: furono imposte servitù e corvée pesantissime; si tentò con ogni mezzo di estirpare l'ortodossia a favore del cattolicesimo. Alla fine del sec. XV il basso bacino del Dnepr, dove erano andate raccogliendosi folle di contadini ucraini fuggiti dal dominio polacco, costituendo libere comunità di agricoltori-soldati (i Cosacchi), era una terra di nessuno, contesa dai polacchi, dai russi e dai tartari. Le comunità cosacche crebbero di numero e forza, fino a guadagnarsi una vera e propria indipendenza, tra continue guerre e scorrerie. Finché a metà del sec. XVII il più autorevole leader cosacco, l'atamano Bogdan Chmelnickij, al culmine di un ennesimo conflitto con le truppe polacche, si rivolse allo zar Alessio Michajlovič per averne la protezione (Trattato di Perejaslavl, 1654). Dopo una guerra aspra, la Pace di Andrusovo (1667) assegnò alla Polonia le terre a destra del Dnepr, alla Russia quelle a sinistra con la città di Kijev; più tardi, con il crollo del regno polacco e la sua seconda spartizione (1793) la Russia ottenne anche gran parte delle terre a destra del Dnepr, salvo la Galizia che venne invece annessa all'impero asburgico.
La russificazione dell'Ucraina (chiamata anche "Piccola Russia") avvenne in forma dura e intollerante, dopo aver messo in ginocchio le organizzazioni cosacche, costrette a disperdersi nei territori più remoti dell'impero zarista come coloni e presidi militari delle frontiere. La popolazione ucraina fu considerata russa a tutti gli effetti e la sua lingua fu assimilata a un qualsiasi dialetto. Lingua e tradizioni ucraine vennero invece preservate nella Galizia, sotto sovranità austriaca: Leopoli (oggi L'viv) divenne così il centro animatore di un pacifico “risorgimento culturale” ucraino. La Galizia diventò inoltre per migliaia di ebrei, in fuga da un'ondata di antisemitismo che negli ultimi anni del sec. XIX si scatenò in Russia, un rifugio naturale anche se a volte solo provvisorio sulla strada verso l'Europa occidentale e l'America.
L'Ucraina russa, intanto, seguiva le vicende generali dell'impero zarista, comprese le agitazioni politico-sociali del 1905, fino alla prima guerra mondiale: quando le vicende belliche e le convulsioni rivoluzionarie del 1917 la portarono per un breve e confuso periodo fuori dal controllo di Mosca. Le rivoluzioni del 1917 (febbraio e ottobre) avvennero mentre parte dell'Ucraina era occupata dalle truppe austrogermaniche: in aprile una Società del Progresso (intellettuale e nazionalista) proclamò la repubblica ucraina indipendente e riunì una Rada (Parlamento), ma in dicembre a Harkiv si costituì un governo sovietico che in breve raggiunse Kijev obbligando la Rada borghese a rifugiarsi a Zhytomyr. Questa trattò separatamente coi tedeschi la Pace di Brest-Litovsk (febbraio 1918) e ottenne l'appoggio delle armate germaniche che occuparono Kijev; in aprile fu a sua volta sciolta dagli occupanti che affidarono il potere formale all'atamano P. Skoropadskij.
Caduti gli Imperi Centrali e con loro anche il governo filotedesco (novembre 1918), il potere fu assunto dall'atamano S. Petljura, il quale chiese aiuto agli anglo-francesi per resistere alla pressione delle forze bolsceviche che, tuttavia (febbraio 1919), riuscivano a occupare Kijev. Nell'estate dello stesso anno, l'Armata Bianca di A. Denikin costrinse l'Armata Rossa a ritirarsi verso Nord, ma in novembre era già stata a sua volta cacciata per l'insofferenza della popolazione. Nel 1920 entrarono in scena anche i polacchi, che avevano appena riconquistato l'indipendenza: una loro armata penetrò profondamente in Ucraina e giunse sino a Kijev (7 maggio) con l'appoggio di Petljura, ma la controffensiva dell'Armata Rossa risospinse i polacchi entro i loro confini.
Nel 1921, terminati gli eventi bellici, si costituiva la Repubblica Sovietica d'Ucraina come membro costitutivo dell'URSS: una larga parte della popolazione rimaneva fuori dai nuovi confini, in Polonia (Galizia), Romania (Bucovina e Bessarabia) e Cecoslovacchia (Rutenia subcarpatica). Negli anni Venti e Trenta l'Ucraina contadina subiva anche le conseguenze peggiori della politica staliniana, con una spaventosa carestia dovuta alle requisizioni forzate dei raccolti e con la successiva persecuzione dei contadini più ricchi (Kulaki), che produssero centinaia di migliaia di vittime.
Dopo la seconda guerra mondiale, durante la quale l'Ucraina fu completamente occupata dai tedeschi, che vi sterminarono la minoranza ebraica dando vita anche a un esercito ucraino filonazista, quasi tutti i territori abitati da ucraini vennero riannessi alla Repubblica Sovietica Socialista d'Ucraina. Nel 1954 alla RSSU veniva aggiunta anche la Crimea, fino ad allora parte della Russia.
All'inizio degli anni Novanta, nel nuovo clima portato dalla perestrojka, aspirazioni separatiste trovavano espressione anche sul piano politico, sia con la nascita di alcuni partiti sia con la contestazione del redigendo Trattato dell'Unione (giugno 1991). L'Ucraina, infatti, proclamava la propria indipendenza il 24 agosto 1991, all'indomani del fallito colpo di stato moscovita che aveva dato il via al definitivo smembramento dell'Unione Sovietica. Le elezioni presidenziali, effettuate contestualmente al referendum sulla ratifica dell'indipendenza (1º dicembre), confermavano al vertice dello Stato L. Kravčuk, in carica sin dal luglio dell'anno precedente; analogamente il Parlamento, composto per la maggior parte di deputati eletti nel marzo 1990 nelle liste del Partito Comunista Ucraino (sciolto nel luglio 1991).
Meno aspri che altrove nell'ex URSS si sono presentati i contrasti etnici: tra le questioni di maggior importanza, le richieste di autonomia della parte orientale della regione del Donbass e della Rutenia transcarpatica (in particolare del distretto di Beregovo, a maggioranza magiara). Più complessa la questione della Crimea, al centro di un contenzioso politico e militare: una parte consistente della popolazione russofona rifiutava di seguire le sorti dell'Ucraina, mentre Mosca rivendicava la potestà sulla flotta del Mar Nero e sulla sua base di Sebastopoli. La questione dei rapporti con la Russia, insieme allo scontro sul modello economico da seguire, condizionava tutta la vita politica del Paese dopo l'indipendenza. All'inizio la disputa era tra il presidente Kravčuk e il primo ministro L. Kučma: più conservatore e attento al richiamo nazionalista il primo, sostenitore di un piano di forte privatizzazione e di una politica di stretta collaborazione con la Russia il secondo. Kravčuk imprimeva alla sua politica estera un'impronta decisamente autonomista firmando l'adesione dell'Ucraina alla "Partnership per la pace" con la NATO, cosa che gli consentiva di ottenere aiuti da parte degli USA. Ma le elezioni presidenziali del 1994 vedevano la vittoria di Kučma, che predisponeva un piano triennale di privatizzazioni e cercava un accordo con Mosca per la Crimea e per la flotta: accordo che veniva raggiunto in due tappe fra il 1995 e il 1997, con la spartizione della flotta, l'affitto alla Russia della base di Sebastopoli e una nuova autonomia per la Crimea (dove intanto i separatisti russofoni venivano elettoralmente sconfitti). Nel 1994 veniva ratificato anche il trattato di non proliferazione e l'Ucraina rinunciava al proprio status di potenza nucleare, trasferendo in Russia i suoi armamenti atomici.
Maggiori erano le difficoltà sul piano interno, con continui scontri sulla politica economica: un braccio di ferro in Parlamento sulla riforma fiscale e sui tagli alle spese sociali portava a ripetuti cambi di governo, mentre la privatizzazione di migliaia di aziende statali avveniva in modo spesso oscuro, premiando personaggi ambigui e alimentando la corruzione di funzionari e dirigenti dello Stato. Nelle presidenziali del novembre 1999 Kučma veniva rieletto, ma le successive elezioni legislative del marzo 2002 facevano registrare una forte avanzata dell'opposizione, con la coalizione liberale guidata da Viktor Juščenko. Kučma, con l'appoggio di numerosi deputati indipendenti, manteneva il controllo del governo, ma il suo regime diventava via via più contestato e protagonista di scandali, finanziari e politici, compresa la misteriosa uccisione di un giornalista di opposizione, V. Gongadze, della quale Kučma veniva accusato di essere il mandante. L'Ucraina si è associata alla coalizione guidata dagli USA nella guerra contro l'Iraq, inviando un contingente di soldati.
Le elezioni presidenziali del novembre 2004 venivano vinte al ballottaggio dal candidato filo-russo, Viktor Yanukovič. Questo risultato fu però sospeso dalla cosiddetta "rivoluzione arancione": subito dopo i risultati elettorali l'opposizione scendeva in piazza denunciando brogli e veniva appoggiata dagli osservatori dell'OSCE e dai governi di USA e UE, che facevano sapere di non riconoscere l'esito del voto. Dopo giorni di tensione con il Paese diviso in due blocchi contrapposti, con minacce di secessione da parte dei filo-russi, si arrivava alla decisione della Corte suprema di ripetere il ballottaggio il 26 dicembre. Si affermava quindi il leader dell'opposizione V. Juščenko, che annunciava una politica filooccidentale improntata al liberismo e nominava Julija Tymošenko come premier. Dopo pochi mesi, mentre l'economia subiva una forte frenata e i rapporti con Mosca diventavano sempre più tesi, anche il nuovo assetto politico andava in crisi: i contrasti politici tra presidente e primo ministro portavanoo alla caduta del governo di J. Tymošenko, sostituita da I. Yekhanurov.
Alle elezioni legislative del marzo del 2006 il Partito delle regioni guidato dal filo-russo di Viktor Janukovič, otteneva la maggioranza, non sufficiente però a formare un governo stabile. Si ricompattava l'alleanza della "rivoluzione arancione" del 2004 e il presidente incaricava la Tymošenko di formare un nuovo governo di coalizione. In luglio un ribaltone nella coalizione di governo portava Aleksandr Moroz, leader del partito socialista ad allearsi con Yanukovič e con i comunisti, candidando al premierato lo stesso Yanukovič, che riceveva l'incarico dal presidente Juščenko. La situazione si aggravava nell'aprile 2007 quando, dopo la defezione di alcuni parlamentari passati dall'opposizione alle file della maggioranza, Juščenko scioglieva il Parlamento. In ottobre si svolgevano le elezioni anticipate, vinte dal partito di Yanukovič con il 34% dei consensi, seguito dalla Tymošenko con il 31%, la quale, in dicembre, veniva nominata premier. Nel 2008 il presidente Juščenko firmava l'accordo di adesione del Paese al WTO, dopo 14 anni di trattative, mentre nel febbraio del 2010 si svolgevano le elezioni presidenziali tra V. Yanukovič e la premier Tymošenko, vinte al ballottaggio dal candidato filo-russo con il 48,9% dei voti. In marzo veniva varato un nuovo governo con a capo Mykola Azarov, leader del Partito delle regioni (PR). In aprile il governo raggiungeva un accordo con la Russia per prolungare di 25 anni l'affitto della base navale di Sebastopoli, alla marina militare russa, che avrebbe dovuto lasciare il porto nel 2017.