Economia

Durante gli anni Novanta del Novecento la difficile transizione dall'economia pianificata al libero mercato e l'embargo commerciale imposto dall'Occidente, hanno causato una lunga crisi concretizzatasi in un crollo della produttività e del commercio estero, inflazione altissima e ampia disoccupazione, inesistente ai tempi del comunismo. Questa crisi si è accentuata con la guerra del 1999 per il Kosovo, in cui la Serbia ha costituito l'obiettivo principale degli attacchi NATO che hanno prodotto pesanti danni alle strutture produttive e alle infrastrutture di comunicazione, azzerando il commercio estero della repubblica che non ha potuto più avvalersi dei ponti sul Danubio, distrutti dai bombardamenti. Dopo la caduta del regime di Milošević, la repubblica ha iniziato una ripresa economico-finanziaria, che ha dato come primo risultato la fine dell'inflazione grazie allo stretto collegamento instaurato tra il dinaro iugoslavo e il marco tedesco. Negli anni successivi, nonostante i progressi realizzati, il quadro economico si è presentato ancora piuttosto problematico. Infatti, la produzione agricola e manifatturiera della Serbia, posta di fronte alla libera concorrenza internazionale, data la fragilità dei suoi settori economici, sarebbe risultata soccombente all'impatto con i mercati esteri qualora non sostenuta dallo stato con tariffe protettive. Questa politica doganale si è scontra fino al 2006 con gli interessi del Montenegro, che intendeva acquistare al libero mercato internazionale i prodotti agricoli e industriali di cui necessitava, senza dovere accettare le tariffe richieste dalla Serbia per le proprie merci. Il contenzioso economico tra le due repubbliche estese anche al settore energetico: infatti, mentre il Montenegro importava i prodotti petroliferi già pronti per il consumo, la Serbia si limitava ad acquistare dall'estero solo il greggio, che veniva raffinato internamente. Dopo la separazione dal Montenegro, la Serbia si presenta come un paese produttore, sebbene abbia ancora un'economia protetta. § Nella Serbia post-bellica è avvenuto un processo di migrazione interna verso le campagne, si sono riscontrate infatti difficoltà occupazionali nelle città, dovute al taglio dei posti di lavoro nella pubblica amministrazione, alla ristrutturazione delle imprese per adeguarle agli standard internazionali e alle privatizzazioni delle aziende pubbliche. Questo fenomeno è particolamente accentuato nella Vojvodina, che per il suo fertile territorio pianeggiante ha visto aumentare la popolazione dedita al primario dal 4% nel 1992 a quasi il 10% nel 1999. È in controtendenza, invece, il Kosovo, che dopo l'ingresso delle forze internazionali nella regione ha avuto una forte urbanizzazione alimentata dalle nuove opportunità di lavoro offerte dalle organizzazioni internazionali e dalle ONG occidentali che operano sul territorio; nella regione, infatti, i redditi agricoli per gli abitanti sono inferiori a quelli che si possono ottenere dalle rimesse degli albanesi all'estero, dagli aiuti umanitari forniti dall'Occidente e dagli impieghi presso le basi militari e i datori di lavoro privati di provenienza straniera. § La Serbia basa la sua economia soprattutto sull'agricoltura (cereali, barbabietole da zucchero, girasole, lino, canapa, patate, luppolo, tabacco, frutta); altre risorse sono l'allevamento del bestiame (bovini, ovini, suini), lo sfruttamento del bosco e del sottosuolo (lignite, rame, piombo, cromo, zinco, argento, oro, minerali di ferro, antimonio) e l'industria (metallurgica, meccanica, tessile e chimica). Le città principali, oltre alla capitale, sono Niš, Kragujevac, Leskovac, Pancevo, nella Serbia propriamente detta, Novi Sad, Subotica, Sombor, e Zrenjanin in Vojvodina, Priština e Péc in Kosovo.