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Spazio fisico
Così come si è venuto delineando dopo le vicende geologiche, il territorio italiano si presenta montuoso, vario, frammentato, povero di legami unitari. Esso è interessato infatti da due catene montuose, le Alpi e gli Appennini, che ne formano le strutture portanti e che gli conferiscono un elevato grado di montuosità. Soltanto il 23,2% del territorio nazionale è formato da pianure o superfici pianeggianti, mentre il 41,6% è occupato da zone collinari e il 35,2% da montagne. In tal senso l'Italia ha la sua espressione fisica più caratteristica nel paesaggio collinare, specie in quello dell'Italia Centrale, che è stato lo sfondo delle antiche civiltà nate sul territorio italiano e che ospita le forme più tipicamente italiane dell'umanizzazione della natura, del rapporto tra natura e cultura così come si è delineato nei secoli passati.
Pianura Padana. Oggi l'area che ospita le attività più significative e la culla stessa dell'Italia moderna è la Pianura Padana, la più vasta e continua delle superfici pianeggianti del territorio italiano che prosegue verso est nella pianura veneta, sua appendice compresa tra l'Adriatico e le Alpi Orientali. A grandi linee si riconoscono in essa un'alta pianura e una bassa pianura. La prima è formata dai grandi conoidi allo sbocco delle valli, nei quali si inseriscono, lungo il pedemonte alpino, gli apparati morenici dei ghiacciai pleistocenici; i conoidi sono stati incisi e terrazzati in epoche post-pleistoceniche e oggi rappresentano le sezioni più elevate della pianura. Sono costituiti da terreni ciottolosi e argillosi, materiali grossolani depositati per primi dai fiumi, ciò che spiega l'aspetto vegetale piuttosto povero di gran parte dell'alta pianura, occupata da macchie arbustive (brughiere, magredi ecc.). Dove questi suoli finiscono si ha il passaggio verso la bassa pianura, area di sedimentazione con coltri fini. La fascia di passaggio tra le due aree corrisponde alla linea delle risorgive, una direttrice importante nella geografia padana, soprattutto ben marcata dalla parte alpina, mentre sul lato appenninico il fenomeno delle risorgenze idriche è meno vistoso. La bassa pianura, in origine area di inondazioni, è stata progressivamente conquistata dall'uomo; sono state bonificate le zone paludose e rinforzati gli argini dei fiumi che, nei tratti finali presso la costa adriatica, scorrono pensili. La parte più depressa della pianura è indicata dal corso del Po, sensibilmente spostato verso sud, che con pendenza debolissima affluisce alla costa. Questa, come tutte le coste basse, dove non c'è soluzione di continuità morfologica tra fondi marini e terra emersa, è orlata da lagune che l'uomo in alcuni casi ha difeso (come quella di Venezia) deviando il corso dei fiumi ed eliminando quindi gli apporti detritici, e in altri casi ha contribuito a obliterare (è il caso delle valli di Comacchio).
Arco alpino centrale. L'arco alpino che orla a nord la Pianura Padana rientra nel territorio italiano con il versante meridionale, tranne alcune appendici (la più estesa è il Canton Ticino). Dal punto di vista strutturale gran parte di questo versante è costituito dalle cosiddette Alpi Meridionali, la grande fascia prevalentemente formata da rocce sedimentarie calcaree che si estende a sud della linea tettonica della Valtellina e che verso est comprende la stessa area dolomitica oltre che le Prealpi Venete. Orograficamente si presenta molto movimentata e varia per la presenza di fratture e piegamenti. Nella fascia più meridionale, dove dominano le morfologie carsiche, specie nelle Prealpi Venete, i rilievi non sono molto elevati e in genere superano di poco i 2.000 m. Più internamente i 3.000 m sono superati dalle cime maggiori delle Dolomiti (Marmolada, 3.342 m) e delle Alpi Orobie. Tra queste due aree montagnose si eleva il massiccio granitico dell'Adamello , grande etmolite che frappone le sue morfologie glaciali entro una più varia successione di forme montuose. Morfologie glaciali si trovano anche nelle aree prealpine, solcate nel Pleistocene dai grandi ghiacciai emanati da bacini alpini più interni. Oggi alcuni degli antichi solchi sono occupati da laghi (Maggiore, di Como, di Garda) sbarrati dai depositi morenici sul lato della pianura. Con le sue vallate che si aprono verso la pianura, la fascia delle Alpi Meridionali rappresenta la parte più agevole e popolata dell'area alpina. I solchi maggiori che incidono le Alpi Meridionali sono quelli corrispondenti al Lago di Como, che continua poi longitudinalmente nel solco della Valtellina, le valli orobiche, la Val d'Adige (una delle maggiori valli alpine, dal tipico andamento trasversale), le valli del Piave e del Brenta nella sezione orientale. Esse hanno funzionato da vie di penetrazione e di arroccamento e rappresentano linee fondamentali nella geografia dell'area alpina.
Alpi Occidentali. Le altre aree morfo-strutturali delle Alpi sono quella pennidica e quella austroalpina. La prima comprende tutte le Alpi Occidentali a partire dai primi rilievi della pianura piemontese (mancano qui le Prealpi vere e proprie) e si stende verso l'interno e verso nord fino a comprendere i massicci del Monte Rosa e i gruppi posti alla destra orografica della Valtellina. Resta escluso invece il Monte Bianco, massiccio granitico che si considera "esterno". Nell'area pennidica dominano le formazioni scistose e perciò si hanno morfologie rapidamente degradabili, legate al glacialismo. Elemento di spicco nell'area pennidica è rappresentato dalla massa ofiolitica del Monviso , con la sua gugliata piramide che domina la sezione occidentale dell'arco alpino. Tra le valli che penetrano nell'area pennidica la principale è quella d'Aosta, solco trasversale che incide per intero le masse gneissiche della catena fino a incrociare il solco tettonico rappresentato dalle opposte valli di Ferret e di Veni, che separa il Monte Bianco dall'area pennidica. A questa strutturazione si deve il notevole sviluppo della Val d'Aosta, che rende accessibile la sezione più interna della catena, con un grande vantaggio per le comunicazioni una volta traforato il massiccio del Bianco.
Area austroalpina. L'area austroalpina rientra nel territorio italiano con una porzione limitata rappresentata dalla parte superiore del bacino dell'Adige: vi predominano le formazioni granitiche e porfiritiche che però lasciano scoperte ampie aree sedimentarie. Anche qui prevalgono le forme glaciali, che hanno come primo riferimento le valli (dell'Adige, dell'Isarco) confluenti nel solco trasversale atesino. Complessivamente, riguardando l'area alpina, si nota come essa sia aspra ed elevata nella sezione occidentale, dove oltre tutto lo spartiacque è più vicino alla Pianura Padana, e come sia più aperta e ampia nella sezione orientale. In rapporto a ciò si spiegano il diverso sviluppo vallivo tra le varie parti dell'arco alpino e la diversa consistenza della fascia prealpina e collinare, ampia e distesa nel tratto veneto, man mano restringentesi passando dalla sezione centrale e quella occidentale.
Fascia collinare appenninica. A sud la Pianura Padana è delimitata dalla vasta fascia collinare appenninica, che si estende dalle Langhe praticamente sino allo scoglio miocenico di San Marino in Romagna. Questa fascia, di terreni per lo più arenaceo-marnoso-argillosi del Cenozoico recente, è solcata da valli che giungono sino allo spartiacque appenninico, ma la morfologia non è mai aspra, proprio per la facile degradabilità delle formazioni rocciose. Lo spartiacque, facilmente superabile, è dominato da rilievi non più alti di 2.000 m, se si eccettua il monte Cimone (2.165 m).
Appennino settentrionale e centrale. La configurazione dell'Italia peninsulare è impostata sulla catena appenninica, con la sua caratteristica asimmetria e il suo sviluppo a grandi archi. La parte settentrionale forma un arco che dalla Liguria, attraverso l'Appennino Tosco-Emiliano, continua fino all'Italia centrale, presentando un versante molto ampio sul lato tirrenico; all'interno di quest'arco si trova un'area preappenninica, corrispondente al cosiddetto Antiappennino toscano, che prosegue verso sud in quello romano o laziale. Si tratta di una zona formata da rilievi marginali, calcarei, come le Alpi Apuane, o da rilievi vulcanici come il Monte Amiata, il più settentrionale degli apparati endogeni della fascia tirrenica tosco-laziale-campana. L'Appennino vero e proprio ha anche in quest'arco una morfologia mai aspra, data la costituzione geologica di terreni arenaceo-argillosi recenti. Elemento tipico è una serie di solchi longitudinali nei quali si inscrivono la valle del Tevere e l'alta valle dell'Arno, che poi svolge il suo corso in una spaziosa pianura. La sezione appenninica centrale, tra Marche e Abruzzo, è caratterizzata dai massicci calcarei (il più alto dei quali è il Gran Sasso d'Italia ) che si elevano in vicinanza della costa adriatica, tra una serie di conche o aree depressionarie, risultato di una tettonica tormentata e non ancora assestata. Con il loro aspetto dolomitico, dirupato, essi dominano le sottostanti addolcite dorsali di argille plioceniche che si distendono verso l'Adriatico, normali alla costa. Verso il Tirreno il rilievo è meno coordinato e rotto in una serie di bacini fluviali che convergono verso il corso del Tevere, il quale tende alla costa aprendosi la strada tra le superfici vulcaniche, molto estese, della regione laziale.
Appennino meridionale. La sezione meridionale dell'Appennino si riavvicina al Tirreno con i massicci calcarei campani, ai quali presso la costa si giustappone l'area vulcanica intorno al Golfo di Napoli. Sul lato adriatico invece il rilievo appenninico si spegne, attraverso le dorsali delle Murge, nel tavolato calcareo pugliese, che si corruga a nord formando la caratteristica penisola del Gargano. Sul versante ionico riappaiono le formazioni argillose, che formano gli ammanti periferici intorno ai massicci calcarei, il più meridionale dei quali è il Pollino . Con questo monte inizia la zona del massiccio calabro-peloritano, cioè una zolla di terreni granitici, antichi, la cui morfologia, che dipende dai recenti sollevamenti, è impostata su linee mature che scendono però a gradini verso la costa.
Rilievi siciliani e sardi. Al di là dello Stretto di Messina, dopo l'appendice granitica dei Peloritani , riappaiono le forme carsiche nelle Madonie, e nel resto dell'isola riprendono le morfologie argillose, se si esclude l'area vulcanica etnea. Nella Sardegna le forme sono legate per larga parte alle vecchie strutture granitiche, come quelle calabre, dominanti nelle sezioni orientali e settentrionale; in quella occidentale il rilievo è formato dagli espandimenti vulcanici recenti. Nel complesso predominano le linee aperte, con rilievi isolati, indice di paesaggi antichi.
Coste. Data la conformazione montuosa della sezione peninsulare, l'Italia ha coste prevalentemente rocciose o con brevi strisce sabbiose lungo le scarpate collinari; coste basse si trovano soltanto in corrispondenza delle poche pianure alluvionali che si aprono verso la costa: la pianura toscana, quella laziale, quella campana; non mancano tratti portuosi, però in questo caso l'entroterra è angusto e frammentato. La costa bassa più estesa è quella dell'alto Adriatico, margine dell'entroterra più grande e unitario del territorio italiano; ma essa è naturalmente la meno portuosa, se si esclude Trieste, che però fa parte della regione istriana. Complessivamente le coste si sviluppano per circa 7.500 km, comprese le isole. Tra queste, oltre alle maggiori (Sicilia e Sardegna) sono nell'Adriatico le Tremiti, nel Tirreno l'Arcipelago Toscano, le isole Ponziane, Partenopee, Eolie, Egadi.
CLIMA
L'Italia presenta climaticamente una notevole varietà di situazioni, che dipendono dalla sua movimentata orografia, dal suo notevole sviluppo latitudinale, dalla presenza dei mari da un lato e di un arco montagnoso come le Alpi dall'altro.
Mediterraneità. La mediterraneità è comunque il carattere fondamentale del suo clima, carattere che si riassume in quella solarità, in quella mitezza dell'aria, in quella luminosità del cielo su cui esiste tutta una mitologia ma che nella realtà è spesso smentita. In ogni caso le condizioni variano sensibilmente passando dalle coste alle zone montuose dell'Italia peninsulare, come pure passando da sud a nord del Paese, dove la Pianura Padana ha un clima temperato continentale dagli aspetti peculiari; senza contare le Alpi, dove si hanno tutte le condizioni climatiche, alle varie altitudini, che si riscontrano passando dalle latitudini temperate a quelle polari. Le masse d'aria che regolano il clima dell'Italia sono fondamentalmente quelle continentali provenienti da nord-est, quelle marittime tropicali da sud-ovest e quelle marittime polari che alimentano le correnti occidentali. A esse si connettono le diverse situazioni bariche e venti caratteristici come la bora , il Föhn, il maestrale, lo scirocco . Gli influssi delle masse d'aria variano secondo le stagioni e secondo la latitudine. Così le masse d'aria continentali provenienti da nord-est si manifestano soprattutto nell'Itàlia settentrionale e d'inverno, quando si elevano le pressioni sulle superfici continentali, mentre nel bacino mediterraneo si formano aree depressionarie. La tipica situazione invernale dell'Italia è quindi con bel tempo e basse temperature nel Nord (nella Pianura Padana spesso si hanno formazioni nebbiose) e cattivo tempo con temperature non rigide al Sud. D'estate si hanno invece alte pressioni nel bacino mediterraneo (condizione anticiclonica) e quindi bel tempo stabile, lunghi periodi siccitosi in tutto il Sud, con frequenti manifestazioni temporalesche al Nord, soggetto agli influssi d'aria fresca occidentali, soprattutto sui rilievi alpini. A queste condizioni generali delle stagioni solstiziali succedono situazioni intermedie nelle stagioni di trapasso, primavera e autunno. Nel Nord queste sono di regola le stagioni più piovose, mentre nel Sud si ha un prolungamento delle rispettive condizioni invernali ed estive, secondo i caratteri propri del clima subtropicale mediterraneo. La mediterraneità si fa più accentuata verso sud.
Temperature. Le condizioni generali del meccanismo climatico stagionale influenzano in certa misura il regime e la distribuzione delle temperature, accentuando o mitigando le tipiche situazioni locali legate all'altitudine, alla vicinanza o meno al mare, all'esposizione ecc. Le temperature più basse si hanno, d'inverno, con lo spirare dei venti continentali da nord-est: esse registrano le punte minime nelle Alpi Orientali dove il termometro scende d'inverno fino a -20 °C nelle vallate. Nella Pianura Padana i valori inferiori allo zero sono frequenti, e ciò si verifica soprattutto quando si stabilisce la cosiddetta inversione termica con mari di nebbie basse e persistenti: a Milano le medie del mese più freddo, gennaio, sono di appena 2 °C, che si abbassano di poco a Torino, in posizione più continentale, e aumentano a Venezia (4-5 °C). Eccezionalmente elevate sono peraltro le temperature invernali nella Riviera Ligure, con i 10 °C di Sanremo. Valori relativamente alti, data la continentalità del clima padano, si hanno d'estate; le medie del mese più caldo, luglio, sono di 25 °C a Milano e di poco inferiori a Venezia e nell'arco costiero veneto influenzato in modo non rilevante dall'Adriatico, che è un mare poco profondo. L'escursione termica annua nella Pianura Padana è quindi sensibile, così come lo è quella giornaliera. Nell'Italia peninsulare le condizioni termiche variano sensibilmente da nord a sud dalle coste all'interno. Nel mese di gennaio la sezione interna appenninica è compresa nell'isoterma di 4 °C (a Firenze le medie oscillano tra 4-5 °C e all'Aquila tra 1-2 °C), mentre nelle zone più vicine alle coste si mantengono sui 6-7 °C, valore di Roma; a Palermo le medie sono di 10-11 °C. Di luglio su gran parte dell'interno della penisola si hanno medie comprese tra i 22 e i 24 °C, con valori più bassi nelle zone appenniniche (all'Aquila 21 °C) e valori oscillanti tra i 25 e i 26 °C nelle fasce costiere, anche delle isole; ciò dimostra una notevole uniformità di condizioni dovuta, soprattutto nel Tirreno, all'azione del mare, azione che si misura anche nella non elevata escursione termica giornaliera e stagionale (quest'ultima a Palermo e a Roma è rispettivamente di 14 °C e 18 °C).
Precipitazioni. Per quanto riguarda le distribuzioni delle precipitazioni esistono forti differenze in funzione soprattutto del rilievo. Nelle zone alpine e appenniniche oltre i 1.000 m si hanno medie annue superiori ai 1.000 mm, che si abbassano in misura diversa nella Pianura Padana (a Milano le medie sono intorno agli 850 mm) e nelle zone collinari e costiere della penisola, dove si passa dagli 800-900 mm di Firenze ai 600-700 mm di Bari e ai 500-550 mm di Palermo. Le zone più piovose d'Italia sono quelle meglio esposte agli influssi marittimi: le Prealpi Venete (che nell'Udinese e nel Vicentino raggiungono il valore massimo per l'Italia, con circa 3.000 mm, sostanzialmente dovuti alle precipitazioni temporalesche estive) e le Alpi Apuane. La zona maggiormente soggetta a siccità è la costa meridionale sicula, dove si possono avere poco più di 100 mm annui; assai scarsa è anche la piovosità di certe zone pugliesi (per esempio il Tavoliere); in tutta l'Italia meridionale in genere le precipitazioni non sono abbondanti, però agli effetti antropici ha soprattutto importanza la loro distribuzione: la lunga e secca stagione estiva, alternata ai brevi periodi piovosi invernali, è all'origine di molti aspetti negativi della vita meridionale, tra cui le difficoltà dell'agricoltura, la povertà degli ammanti forestali già in passato degradati dall'uomo, la forte erosione di molti terreni. Nelle zone montuose le precipitazioni nevose sono abbondanti oltre i 2.000 m di altitudine soprattutto nelle Alpi (dove cadono fino a 7-8 m all'anno); il limite delle nevi perenni si fissa attualmente poco sopra i 3.000 m.
Flora. Dal punto di vista fitogeografico l'Italia si trova nel luogo d'incontro di due domini floristici, quello mediterraneo e quello centreuropeo. In conseguenza di ciò e per le diversità climatiche in senso sia della latitudine sia dell'altitudine, la vegetazione si presenta quanto mai varia e ricca di specie. A tutto questo si aggiunga l'opera dell'uomo, distruttrice in taluni punti, sostitutiva in altri con l'introduzione di specie esotiche (per esempio cereali nel periodo neolitico, agrumi dal periodo romano al XIV secolo, mais e patata in epoche recenti). Solo in poche zone la flora è rimasta nei suoi insediamenti spontanei (Alpi, riserve naturali e parchi nazionali). Comunque, in genere, si suole suddividere l'Italia floristica in quattro regioni: mediterranea o litoranea, appenninica, padana e alpina. Nella prima, che oltre alle fasce costiere liguri-tirreniche, comprende anche le isole, la vegetazione spontanea è costituita generalmente da boschi di leccio, pini (domestico, marittimo e di Aleppo), ai quali si aggiungono il carrubo, il corbezzolo, il lentisco, querce, ginepri ed eriche; nelle zone più scoperte si trovano anche timo, rosmarino e ginestre; oltre a queste, e anche nei sottoboschi, varie specie di salvia ed euforbie, il mirto, la lavanda e altre; non mancano inoltre lauro e cipressi (questi ultimi specie in Toscana). La regione appenninica nel suo piano basale si confonde con quella mediterranea oltre a presentare oliveti, querceti caducifogli e castagneti; nella zona montana passa dalla faggeta e abetina mista alla faggeta pura o con conifere mediterraneo-montane e a zone residue di pecceta; nel piano culminale vivono ginepri nani, cariceti e festuceti. Nella regione padana la vegetazione spontanea ha ceduto quasi totalmente ai coltivi; rimangono ancora allo stato naturale pochi settori (brughiere) del Piemonte e della Lombardia e l'alta pianura e i magredi del Friuli, caratterizzati da boschetti di rovere, farnia, roverella, nocciolo, aceri, pioppi, betulle, salici, carici, giunchi, ericacee. Infine la regione alpina con il piano basale di lecci e olivi; il piano montano con faggi, abeti e larici, e il piano culminale che passa dai rododendri e pini montani ai cariceti e festuceti, ai saliceti nani e infine a muschi e licheni.
Fauna terrestre. A causa della sua varia altimetria, il territorio italiano ospita un grande numero di specie animali, anche se alcune sono minacciate di estinzione dalla presenza, sovente distruttrice, dell'uomo. Alcune specie si sono salvate solo grazie all'istituzione di parchi nazionali o riserve: per esempio stambecchi, camosci e aquile reali nel Parco del Gran Paradiso; cervi, camosci e caprioli in quello dello Stelvio; l'orso bruno e il camoscio nell'Abruzzo; mufloni e daini nel Gennargentu. In genere è possibile suddividere l'Italia in piccole zone faunistiche quali quella alpina; quelle di monte e pianura, generalmente accomunate per la difficoltà di una netta distinzione; quelle litorale, marina e delle acque interne. Da queste molti autori distinguono la Sardegna data la presenza di specie particolari (mufloni, caprioli, daini, cervi, alcuni avvoltoi, la foca monaca lungo le sue coste) e l'assenza completa di vipere e rane. Tra la fauna di monti e pianure si possono trovare: cinghiali, lepri, scoiattoli, ghiri, istrici, ratti, lupi, volpi, martore, faine, tassi, donnole, ricci, toporagni; fra gli uccelli, galli cedroni, quaglie, pernici, fagiani, beccacce, colombi, cuculi, passeri, merli, tordi, capinere, fringuelli, oltre a rapaci diurni (falconi, gheppi, poiane, nibbi) e notturni (gufi, civette, allocchi); tra i rettili vari boigidi, colubridi, viperidi, sauri e testuggini. La fauna litorale, rimanendo sempre nel campo dei Vertebrati, è caratterizzata soprattutto da beccacce di mare, voltapietre e piovanelli.
Fauna acquatica. La fauna delle acque interne, assai ricca di specie, è dominata dai Ciprinidi, ai quali si aggiungono, tra gli altri, il luccio, il persico, l'anguilla, la trota. Un certo numero di specie ittiche italiane è stato introdotto da altri Paesi europei (coregone) o dall'America Settentrionale (persico, trota, pesce gatto, persico sole, trota iridea). Due sono i pesci autoctoni esclusivi delle acque interne italiane: il carpione del Lago di Garda e la trota marmorata degli affluenti di sinistra del Po. Tra gli uccelli, numerosi sono ancora aironi, anatre, folaghe, rane, rospi, bisce dal collare, che popolano rive, stagni, laghi. Fra gli anfibi acquatici, degno di menzione è il proteo, proprio delle acque sotterranee del Carso. La fauna marina è quella tipica del Mediterraneo, mare notoriamente contraddistinto da una produttività assai bassa esprimentesi con una notevole ricchezza di specie e con una forte modestia di biomassa. Lungo le coste d'Italia questa situazione è stata portata talora alle estreme conseguenze non solo in seguito alla pesca, ma anche in seguito agli inquinamenti, tanto che solo per poche specie (acciuga, sardina, spratto, aguglia, sgombro, sugherello, tonno ecc.) si dà ancora la possibilità di cattura in massa. Oltre ai pesci e alla già citata foca monaca, val la pena di ricordare il delfino, l'unico dei cetacei ancora abbastanza numeroso, e alcune tartarughe fra cui la caretta.
IDROGRAFIA
Orograficamente frammentata, l'Italia ha un'idrografia centrata su fiumi numerosi ma complessivamente molto modesti per quanto riguarda sviluppo del bacino e portata.
Bacino del Po. Il Po raccoglie le acque del più esteso e unitario bacino del Paese, quello compreso per circa 75.000 km2 Adige (che però in epoche remote confluiva nel Po) e i fiumi veneti. La rete idrografica imperniata sul Po è formata da fiumi alpini e fiumi appenninici, tra loro diversi per regime e sviluppo del bacino. I fiumi alpini (Dora Baltea, Ticino, Adda) hanno un bacino complessivamente più esteso e idrograficamente reso complesso dalla presenza dei grandi laghi prealpini, che occupano gli invasi degli antichi ghiacciai pleistocenici, quali il Lago Maggiore (nel bacino del Ticino), il Lago di Como (bacino dell'Adda), il Lago d'Iseo Oglio) e il Lago di Garda (del Sarca-Mincio). In generale gli immissari dei laghi hanno regime alpino, legato cioè all'alimentazione nivale e glaciale; ma i laghi fungono da regolatori e rendono più costante la portata degli emissari, i quali però sono soggetti al ritmo delle precipitazioni stagionali, prevalentemente autunnali e primaverili. Regime nettamente determinato dalle precipitazioni, con portate estive debolissime ed elevate in autunno e primavera, hanno gli affluenti appenninici (i principali sono il Tanaro, che è però in parte anche alimentato dalle Alpi, il Trebbia , il Secchia, il Panaro): da ciò i loro ampi greti che si aprono verso la pianura. Tutti gli affluenti del Po hanno un corso orientato verso est, e ciò in rapporto alle formazioni di caratteristiche penisole di confluenza, come quella che ha portato l'Adige a sviluppare una sua propria foce. Adige e fiumi veneti hanno un regime misto, alpino nella parte superiore del loro corso, prealpino, cioè legato all'alimentazione nivale e alle precipitazioni stagionali, nella parte mediana: ciò in misura più spiccata procedendo verso est. tra le Alpi e gli Appennini. Nell'area alpina e padano-veneta bacini autonomi formano l' (bacino dell'
Bacini peninsulari. L'idrografia della penisola ha i suoi fiumi meglio organizzati nell'Arno e nel Tevere, morfologicamente impostati nei solchi longitudinali dell'Appennino. L'Arno, che in epoche remote, attraverso la Val di Chiana, si immetteva nel Tevere, svolge ora il suo corso in modo capriccioso, formando la grande ansa (Valdarno) che termina a Firenze, superata la quale fa il suo ingresso nella pianura che si amplia verso la costa a sud della Versilia. Il regime dell'Arno è appenninico, con portate massime concentrate tra l'autunno e l'inverno, minime estive. Eguale regime ha il corso superiore del Tevere, che per un lungo tratto, fin oltre la Valle Tiberina, è un fiume modesto e povero d'acqua; si arricchisce notevolmente dopo gli apporti dei fiumi che scendono dagli alti massicci dell'Appennino centrale, tra la Nera (col suo subaffluente Velino) e l'Aniene. Questi hanno anche una buona alimentazione nivale, in primavera, e sono comunque relativamente ricchi di acque. Sul lato adriatico i fiumi hanno sviluppi modesti (il principale è l'Aterno-Pescara) e i loro corsi, normali alla costa, si succedono regolari e tra loro paralleli. Anche nell'Italia Centrale un importante elemento idrografico è rappresentato dai laghi; tra questi il maggiore è il Trasimeno, che occupa una depressione ai margini della Val di Chiana (un tempo anch'essa lago), ma caratteristici sono i laghi craterici (di Bolsena ecc.), ben indicati dalla loro forma circolare. Nell'Italia Meridionale i fiumi maggiori sono quelli campani (il Volturno e il Sele) e quelli della Basilicata che sfociano nel Golfo di Taranto (Bradano, Basento), mentre un'idrografia vera e propria manca in gran parte della regione pugliese, date le sue strutture carsiche. I fiumi dell'Italia meridionale alternano una grande povertà delle portate estive con forti e improvvise piene del periodo invernale, com'è proprio del regime delle precipitazioni dell'area mediterranea; espressione caratteristica di questa mediterraneità dell'idrografia meridionale sono le fiumare , con i loro ampi greti ghiaiosi. Si tratta di corsi a regime torrentizio, male incanalati e soggetti a piene rapide e tumultuose; trasportano grandi quantità di detriti che, specialmente in Basilicata, sono strappati a versanti già intaccati dall'erosione a calanchi.
Corsi d'acqua delle isole. Eguali caratteri ha l'idrografia nelle isole (Simeto, Tirso); in generale, in tutta l'area meridionale, alla povertà estiva di risorse idriche si può rimediare con la costruzione di dighe che, oltre a tesaurizzare le acque, servono anche a regolare un regime dagli squilibri stagionali così forti (laghi artificiali di Omodeo in Sardegna, di Ampollino in Calabria).