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Ambiente Umano
Insediamenti preistorici. Il popolamento umano dell'Italia doveva essere già relativamente avanzato nel Paleolitico superiore, come testimoniano i numerosi reperti di quell'epoca. La maggior parte delle stazioni si collocano lungo le coste e, nell'Italia continentale, sulle prime pendici prealpine e appenniniche, in quanto la Pianura Padana era allora ancora paludosa, impraticabile, dominio di fiumi selvaggi. Nel Neolitico e nell'Eneolitico cominciano a prendere forma le prime linee di popolamento e di sedentarizzazione lungo le vie naturali di traffico, quelle stesse che resteranno fondamentali del tessuto antropico. Molti piccoli centri e città italiane sono sorti infatti sul luogo di antichi insediamenti preistorici, benché riferibili soprattutto all'Età del Bronzo e all'Età del Ferro, epoche in cui l'Italia era collegata, anche commercialmente, con l'esterno, da cui ricevette continui apporti culturali secondo le direttrici illirica, iberica e mediterranea. L'Età del Ferro attivò culturalmente certe aree, tra cui l'Italia centrale, dove prese vita poi la civiltà etrusca, mentre altre zone permasero attardate.
Etruschi e Romani. Agli Etruschi si deve la prima consistente attrezzatura urbana e viaria del Paese, sfruttata successivamente dai Romani, la cui affermazione, dal punto di vista geografico, è stata sicuramente favorita dalla posizione della terra latina al centro dell'arco tirrenico che Roma poteva dominare. All'organizzazione romana si deve la creazione di un tessuto territoriale che strinse unitariamente il Paese, lo dotò di strade fondamentali, di città rimaste poi sempre come perni fondamentali e inalienabili della geografia italiana. Culturalmente omogeneizzò un Paese naturalmente frammentato, lasciando così un'eredità che neppure il Medioevo riuscì a dissipare.
Unità e diversificazione. Nell'Alto Medioevo il quadro geografico però si trasformò e i fuochi principali dell'organizzazione territoriale si spostarono nell'Italia Centrale e Settentrionale. Il Mediterraneo perse via via quelle focalità che aveva avuto fin dalle epoche preromane, esaltate nel Medioevo dall'affermazione islamica, e l'asse vitale del continente si delineò tra Firenze, Milano e l'Europa atlantica. È questo l'inizio di quella divisione tra l'Italia del Nord e l'Italia del Sud rimasta sino a oggi frutto di storia, di nuove aperture economiche e commerciali, e che a livello di organizzazione territoriale si spiega con il diverso imporsi del rapporto tra città e campagna, tra economia agricola ed economia urbana. Nel Sud permangono, con le strutture feudali, le città rappresentative, sedi del potere aristocratico, staccate dal mondo contadino, economicamente non attivato; nel Nord la città passa in mano alla borghesia commerciale e artigianale e instaura un vivace rapporto di scambi con il suo dintorno contadino. La stessa differente distribuzione delle città al sud e al nord, nell'Italia di oggi, è un riflesso di questa diversificazione politica ed economica avutasi nell'epoca medievale, con l'affermazione nel Nord delle città comunali, alcune delle quali anzi egemonizzarono l'economia dell'Europa, come Firenze, Milano, Venezia, Genova. Il fervore culturale del Rinascimento fu lo sbocco di questo momento, benché proprio allora l'Italia divenisse politicamente soggetta alle grandi potenze europee, frammentandosi in tanti piccoli Stati ed economicamente impoverendosi, specie nella parte meridionale, soggetta a una politica parassitaria, mentre il Nord, agganciato attraverso l'Austria all'Europa centrale, non perse i suoi patrimoni borghesi. L'unità politica non riuscì a cucire una geografia così lacerata e in certa misura accentuò il distacco tra Nord e Sud. Lo squilibrio si rivelò alla fin e del secolo scorso, con i primi flussi migratori indotti da un'economia incapace di assorbire quel surplus demografico che nel frattempo era andato accentuandosi.
Emigrazioni. Al primo censimento del 1861 la popolazione italiana superava di poco i 26 milioni di abitanti calcolata entro i confini attuali e 22 milioni di abitanti entro i confini dell'epoca (ai primi anni del secolo scorso, secondo certe valutazioni, era di 18 milioni, cifra di poco superiore a quella dei secoli precedenti, se si esclude il Seicento, con la sua grande decadenza economica e le sue epidemie di peste). Proprio dopo l'unità prese avvio quel grande incremento che agli inizi del nostro secolo (1901) portò la popolazione italiana a 33 milioni di unità, e poi a circa 36 milioni nel 1911. Ma già la grande emigrazione era nel suo pieno svolgimento. Nel Sud impoverito, ma anche nelle regioni meno sviluppate del Nord, come il Veneto, l'esodo ha rappresentato l'unico sbocco alle gravi difficoltà economiche, nella prospettiva di soluzioni di vita nuove e migliori all'estero. Negli ultimi decenni del secolo l'emigrazione (che nel periodo 1876-1900 interessò complessivamente 5.300.000 persone) era orientata verso i Paesi industriali europei, la Francia, il Belgio, la Svizzera, la Germania, raggiunti da circa 100.000 persone all'anno tra il 1876 e il 1890; ma già a partire dal 1890 l'emigrazione verso i Paesi transoceanici superò quella verso l'Europa: tra il 1891 e il 1900 partirono ogni anno per i Paesi d'oltreoceano più di 150.000 Italiani, che nel successivo decennio 1901-1910 diventarono 350.000. Le partenze aumentarono negli anni successivi e nel solo 1913, l'anno della più forte emigrazione, lasciarono l'Italia per le Americhe 560.000 persone, cui si de vono aggiungere 313.000 partenze per i Paesi europei. Dall'inizio del secolo al 1915 espatriarono 8-9 milioni di persone, la maggior parte delle quali originarie della Puglia, della Campania, della Sicilia, della Calabria e del Veneto; ne rimpatriarono in media un terzo circa. Dopo il 1914 si ebbe una rapida e fortissima diminuzione degli espatri, che cessarono quasi del tutto nel periodo bellico. Ma nel frattempo l'incremento demografico era ulteriormente salito, tanto che all'inizio della prima guerra mondiale la popolazione, nonostante gli esodi, superava i 38 milioni di abitanti.
Vicende demografiche. La grande guerra lasciò un'impronta incancellabile nella vicenda demografica italiana e ancor oggi nella piramide della popolazione c'è un vuoto nelle classi di età del 1914-1918. Nel 1921 però l'incremento demografico era tornato sui valori del 1900-1910, e tra il 1921 e il 1931 la media annua è stata dello 0,8%. L'emigrazione nel 1920 era fortemente ripresa (600.000 furono gli esodi), poi progressivamente soffocata dal regime fascista, che contribuì inoltre, con la sua politica di incentivazione demografica, a mantenere elevato il tasso d'accrescimento. Nel 1931 la popolazione era di circa 42 milioni, divenuti poco meno di 46 nel 1941, all'inizio dell'ultima guerra. Anche questa, con l'indotta diminuzione delle nascite, ha lasciato un'impronta nella piramide per classi d'età, ma non tanto sulla complessiva entità della popolazione; nel 1946 l'emigrazione verso l'estero è ripresa, volgendosi ora di nuovo più ai Paesi europei che a quelli transoceanici, tra i quali un posto di tutto rilievo ha assunto l'Australia. L'emigrazione è però calata fortemente dopo il 1960, con una media di circa 100-150 mila partenti annui e con 80-100.000 ritorni. I trasferimenti più importanti negli ultimi decenni sono stati quelli dei lavoratori del Sud diretti in Germania e in Svizzera. Ma oggi l'emigrazione non ha più incidenza sull'andamento demografico del Paese che si comporta alla stregua degli Stati maturi e progrediti, poveri di slancio demografico, con un tasso di incremento vicino allo zero.
Distribuzione della popolazione. La densità della popolazione è tra le più alte dell'Europa, ma la distribuzione è irregolare: si passa dai 425 abitanti/km 2 della Campania, dai 381 abitanti/km 2 della Lombardia, dai 299 abitanti/km 2 della Liguria ai 37 abitanti/km 2 della Valle d'Aosta, ai 61 abitanti/km 2 della Basilicata, ai 68 abitanti/km 2 della Sardegna. Questa ineguale densità è legata ai diversi sviluppi avuti dall'urbanesimo ma in primo luogo alle condizioni ambientali (altimetria, natura del suolo, disponibilità idriche ecc.) più o meno favorevoli alle attività economiche, all'agricoltura in particolare che è stata sempre la promotrice di ogni processo economico. L'area napoletana è un esempio di concentrazione promossa inizialmente dalla fertile terra campana, sostenuta poi dalle scelte politiche ed esaltatasi col parassitismo proprio dell'urbanesimo di alcune aree del Meridione. L'area milanese ha la sua prima promozione nella ricca agricoltura lombarda che ha incentivato via via l'urbanesimo e gli scambi e poi le attività industriali, basi dell'attuale elevata concentrazione umana della zona compresa tra Milano e i vicini laghi prealpini. Le regioni rimaste più emarginate, più lontane dai fuochi urbani, sono ancor oggi le meno popolate. Le grandi aree di forte popolamento sono il risultato di un processo di addensamento che ha portato via popolazione da un po' tutte le regioni italiane, e particolarmente da quelle rimaste più impoverite.
Migrazioni interne. La vicenda delle migrazioni interne non è meno imponente dell'emigrazione verso l'estero nella storia dell'Italia. Negli ultimi decenni è stato calcolato a oltre 6 milioni di persone l'esodo dal Sud verso il Nord: Torino e Milano sono state le città che hanno assorbito la maggior parte degli emigranti. La popolazione contadina del Sud è andata a ingrossare le periferie delle grandi città industriali del Nord (cui ha contribuito anche l'emigrazione dal Veneto e dalle aree montuose della regione alpina) e in misura considerevole anche di Roma, metropoli "terziaria" ingranditasi secondo i modi delle città parassitarie.
Urbanizzazione. Il processo di urbanizzazione ha interessato in diversa misura anche tutte le altre città. Con questo generale moto di inurbamento è andato in parte obliterato l'originario tessuto urbano, non solo per il formarsi di nuove cinture residenziali intorno ai vecchi quartieri centrali, ma anche perché è risultata spesso difficile la conservazione di nuclei storici spesso assai antichi. La vita urbana inizia infatti con l'età romana, cui si deve la prima strutturazione di molte città (tra le altre Firenze, Lucca, Verona, Milano, Torino) secondo le forme regolari impostate sul cardo e il decumano.
Struttura delle città. L'età comunale ha plasmato i nuclei centrali delle città dell'Italia centrale e settentrionale, insieme omogenei strutturati sul palazzo municipale e sulla cattedrale. Con l'imporsi delle strutture borghesi la città ufficiale, rappresentativa, si stacca dalla città popolare e tale schema è rimasto e si è anzi approfondito col tempo, determinando quartieri di diversa qualificazione sociale con i palazzi della borghesia vicini al centro e i rioni popolari ricacciati verso la periferia. Questa struttura monocentrica è alla base di tutte le maggiori città italiane, se si escludono pochi casi come Ferrara, che si è aperta secondo prospettive moderne già nel Rinascimento, offrendo un esempio avanzato e raro di modello urbanistico, in diverso modo imitato dalle ristrutturazioni settecentesche di città del Nord (come Parma), del Centro (come Roma) e in genere del Sud (come Catania o Ragusa). Ma le città italiane, pur rimaste chiuse e povere di grandi sviluppi fino al secolo scorso, offrono aspetti molto diversi, in rapporto alle varie funzioni che hanno svolto e alla differente impronta avuta dai regimi politici che hanno caratterizzato le varie parti del Paese.
Funzione della città. La prima grande distinzione per quanto riguarda le funzioni urbane è tra città del Sud e città del Nord. Queste sono in genere organismi vitali, con effettive condizioni urbane di vita e di economia; quelle del Sud sono cresciute come puri centri di potere, poveri di vita economica e urbanisticamente più informi. Esempi dell'urbanesimo meridionale sono, oltre alle grandi città come Napoli, Palermo, Catania, le cosiddette città-contadine, grossi centri che ospitano fino a 50.000 abitanti e che tuttavia hanno una struttura assai semplice, essendo dei grandi aggregati di case che ospitano contadini e salariati occupati nelle attività agricole dei vasti dintorni. Gli esempi più vistosi si hanno nella Puglia e in Sicilia, dove il grosso centro fa il vuoto intorno a sé, mancando nello spazio circostante la casa isolata. Questa è invece il risultato di un'appropriazione individuale del suolo avvenuta a spese del latifondismo e ha cominciato a imporsi anche nelle stesse regioni dominate dalle città-contadine. In questo quadro dell'urbanesimo italiano e della sua organizzazione nello spazio si possono individuare diverse funzioni prevalenti delle varie città, funzioni che interessano piccoli e grandi centri con attività industriali (anche al di fuori delle aree industrializzate, come Terni), centri con attività portuali (dalle città liguri a quelle tirreniche e adriatiche), città con funzioni eminentemente culturali (Urbino, Perugia, Pavia ecc.), città con funzioni turistiche (Rimini); specializzazioni che in diversa misura interessano anche numerosi piccoli centri.
Insediamenti rurali. Il fenomeno si è manifestato soprattutto nelle aree dove si è avuta una prima impostazione di tipo capitalistico dell'agricoltura (caso esemplificato dalle masserie della Puglia e della Sicilia) e nelle aree a orticoltura, come nel Napoletano, dove le case sparse sono ormai molto fitte negli orti irrigui. Nell'Italia Centrale la casa sparsa è legata al regime della mezzadria, cui si devono sia la villa signorile d'influsso urbano sia la dimora del mezzadro, attrezzata per le attività agricole. Simile schema si trova anche nel Veneto, come emanazione del capitalismo veneziano. Ma nell'Italia settentrionale l'insediamento rurale è contraddistinto da forme diverse pa ssando dalla pianura irrigua a quella asciutta: nella prima vi è la cascina come centro dell'organizzazione rurale, intorno ai paesi, nella seconda la casa sparsa sui poderi individuali di piccola e media dimensione. Caratteristiche particolari ha infine l'insediamento nell'area alpina, in rapporto all'organizzazione altitudinale dell'economia montana, con le sedi permanenti in basso, quelle temporanee (malghe) in alto. Tutta la trama dell'insediamento rurale è però in fase di trasformazione con la partecipazione sempre più stretta delle aree a economia tradizionale alla vita urbana e industriale.
Città del Nord. I principali centri promotori di questa trasformazione sono le grandi città, cominciando da quelle del Nord, dove l'armatura urbana avviluppa in un'unica e stretta maglia l'intero spazio tra Alpi e Appennini. In questa maglia un ruolo prioritario ha Milano, vera e propria capitale economica d'Italia, con le sue molteplici attività direttive, industriali e commerciali. Il suo raggio d'influenza si espande a larga parte d'Italia e coinvolge in modo diretto un'ampia porzione della Lombardia, dove si è venuta configurando una città-regione vitalissima e popolosa che conta 5-6 milioni di abitanti, esempio di megalopoli dai tratti funzionali che si allinea con altre fuori d'Italia per una certa sua esemplarità. Al comando di questa conurbazione, Milano è il fulcro dell'Italia settentrionale, centro di convergenza di strade, ferrovie e di interessi economici dove avviene anche la mediazione con l'Europa centrale; in particolare Milano è il vertice più forte del "triangolo" industriale, che comprende poi Torino e Genova. Torino è una città cresciuta con la sua possente industria automobilistica, con funzioni però troppo monocentriche rispetto alla regione piemontese, di cui è perno assoluto. Genova è lo sbocco sul mare del "triangolo", oltre che sede importante di industrie di prima trasformazione; si tratta, tuttavia, di una città povera di spazio, cresciuta intorno al suo porto, con poche alternative nell'arco ligure. L'armatura urbana dell'Italia settentrionale ha poi i suoi grandi assi nell'allineamento delle città sulla via Emilia (da Piacenza a Bologna) secondo uno schema funzionale di antica origine, e nelle città del Veneto, che formano l'entroterra di Venezia, tra Vicenza, Padova sino a Udine, mentre Verona ha un ruolo un po' autonomo come trait-d'union tra Italia padana e asse atesino, e Trieste sull'altro lato è stata mortificata come centro portuale dall'amputazione del suo entroterra.
Città centrali e meridionali. Nell'Italia centrale un ruolo fondamentale ha Firenze, vertice di un fitto e dinamico allineamento urbano che si espande lungo la pianura dell'Arno fino a Pisa e Livorno. Roma è una grande città milionaria che vive di sé, in una propria dimensione economica, povera di stimoli, benché oggi essa si profili come vertice di una fascia industrializzata che si allunga sulla direttrice per Napoli. La metropoli campana è l'espressione spontanea e fino a oggi mai corretta di un urbanesimo tipicamente meridionale: sempre povera di industrie, con funzioni portuali limitate, essa è cresciuta come centro della ricca borghesia del Sud, di cui è sempre stata la naturale capitale. Intorno alla città si stendono i centri popolosi della pianura campana e del golfo, con i quali forma una conurbazione che conta circa 3 milioni di abitanti, oggi in fase di industrializzazione. Sul lato adriatico alcune città si sono sviluppate come centri portuali e sedi delle prime industrie, tra cui Ancona, Pescara, Bari, Brindisi; ed è nella Puglia che si verificano i più interessanti sviluppi dell'urbanesimo, nei quali è interessata, oltre a Bari, Taranto, nuova importante sede di industrie. In Sicilia, le città maggiori, Palermo, Catania, Messina, così come Cagliari in Sardegna, sono tipiche città del Sud, cresciute con le rendite fondiarie delle borghesie locali, ma povere sempre di stimoli economici.