
www.unimondo.org/Paesi/Asia/Asia-centrale/Tagikistan/Storia
Storia
I territori del Tagikistan furono inglobati nell'impero persiano degli Achemenidi nel VI sec a.C.; dopo si susseguirono Alessandro Magno, lo stato greco-battriano e il regno di Kushan, le invasioni degli Unni Eftaliti (sec. V d.C. ) prima che quella parte dell'Asia centrale cadesse sotto il dominio arabo e si diffondesse l'Islam (VII sec. d. C.).
La regione popolata dai tagichi non riuscì mai a costituirsi in unità nazionale e fu a lungo disputato da persiani, uzbeki, afghani, nonché dai canati di Buhara e di Kokand. Gengis Khan conquistò il territorio tagico nel XIII secolo, mentre tra il XIV e il XVII secolo furono i Timuridi e la dinastia uzbeca dei Sheibanidi a mantenere il potere sulla regione. I russi (seconda metà del sec. XIX) unificarono infine gran parte del territorio mentre la sezione a sud dell'Amudarja restò all'Afghanistan.
Sotto il regime sovietico il Tagikistan fece parte dapprima della Repubblica del Turkestan; nel 1924 divenne Repubblica autonoma e nel 1929 Repubblica federata. Ottenuto nel 1989 il riconoscimento del tagico come lingua ufficiale, nel processo di dissolvimento dell'Unione Sovietica il Tagikistan, nell'agosto 1990, ha proclamato la propria indipendenza e affermato il diritto alla secessione, prima che il tentativo di colpo di Stato moscovita dell'agosto 1991 accelerasse il distacco dalla precedente struttura politico-istituzionale. Costretto alle dimissioni il presidente allora in carica, l'indipendenza è stata formalmente acquisita il 9 settembre successivo. Alla guida del Paese è stato posto Rakhman Nabiyev (eletto a suffragio diretto il 24 novembre 1991), il quale, dopo un apparente tentativo di apertura, cercava di restaurare il potere dell'ex Partito comunista, forte dell'affermazione ottenuta alle elezioni del dicembre. Le forze dell'opposizione, in maggioranza di ispirazione islamica, davano quindi origine a proteste, accusando brogli; nel maggio 1992 il conflitto degenerava in scontro armato. Dopo un breve periodo in cui il governo passava alle forze di opposizione, nel 1993 ritornavano al potere gli ex comunisti. La presenza delle truppe russe e della CSI consentiva al governo di fronteggiare senza problemi l'offensiva armata dell'opposizione islamica e democratica.
Nel 1994 veniva approvata una nuova Costituzione di tipo presidenziale e il capo dello stato ad interim, Emomalii Rahmon, veniva eletto Presidente della Repubblica. Nel 1995 si tenevano le elezioni legislative, vinte nettamente dai neocomunisti dopo il rifiuto di Rahmon di rimandare il voto, come richiesto da ONU, UE ed OCSE, per consentire l'effettiva partecipazione dei partiti di opposizione. Nel frattempo governo e opposizione islamica prorogavano più volte il cessate-il-fuoco proclamato nell'ottobre 1994, ma ciò non impediva la ripresa dei combattimenti, con imboscate ed attentati che colpivano soprattutto il corpo di spedizione russo ancora presente nel Paese. La radicalizzazione della situazione investiva anche il mondo più strettamente religioso, e persino l'esercito con l'uccisione del gran muftì Fathullo Sharipov, considerato troppo moderato e vicino al presidente (gennaio 1996). Rahmon e il capo dell'opposizione armata Abdhullah Nuri hanno firmato a Mosca (giugno 1997) un accordo di pace sotto l'egida dell'ONU, dell'OSCE e, soprattutto, di Russia e Iran. L'accordo pone fine a 5 anni di aspra guerra civile e corona 3 anni di negoziati, che avevano registrato un primo sostanziale progresso con le intese raggiunte nel dicembre 1996. Pur formalizzando questo accordo con le elezioni politiche del 2000, continuano a essere frequenti gli scontri armati lungo il confine con occidentale dove sono insediati ribelli islamici uzbeki.
Nel 2003 venivano approvate riforme costituzionali che garantivano a Rahmon altri due mandati dopo il 2006. Il Paese aveva tratto profitto sia economico che politico dalle operazioni belliche in Afghanistan, concedendo basi aeree alle truppe anglo-americane. Sia le elezioni legislative del 2005 sia quelle del 2010 vedevano la schiacciante vittoria del partito del presidente (Partito democratico popolare).






