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Storia
La conquista spagnola.
Prima della conquista spagnola, il territorio che costituisce l'odierna Repubblica colombiana era abitato dai Chibcha che, sempre in guerra tra di loro, favorirono la penetrazione iberica. Nel 1536 la spedizione di Gonzalo Jiménez de Quesada, dopo aver soffocato le ultime resistenze dei Chibcha, il 6 agosto 1538 gettò le fondamenta di una nuova capitale, chiamata Santa Fe de Bogotá (Bogotá); sono questi gli anni, nonostante le spedizioni precedenti, che segnano la conquista della Colombia. La colonia ricevette il nome di Nuova Granada e fino a tutto il sec. XVII fu amministrata come Capitanía General nell'ambito del Vicereame del Perú. Nel 1717 fu creato un vicereame comprensivo di Colombia, Venezuela ed Ecuador. Abolita nel 1724, questa entità venne ricostituita il 20 agosto 1739.
Simon Bolivar e la repubblica della gran Colombia.
La lotta per l'indipendenza dell'America Meridionale ebbe nella Nuova Granada, dove fu condotta da Simón Bolívar, fasi di particolare accanimento. Anche in Colombia, come nel resto dell'America Centro-Meridionale, ebbero grande influenza sui movimenti indipendentistici gli ideali sostenuti e diffusi dalla Rivoluzione francese e Antonio Nariño, un patriota di Santa Fe, tradusse in castigliano la “Dichiarazione dei diritti dell'uomo”. Nel 1819, allorché Bolívar, vittorioso sull'armata reale, istituì la “Repubblica della Gran Colombia”, della quale in quel momento facevano parte Venezuela e Colombia, si giunse all'emancipazione dalla Spagna. Poco dopo l'Ecuador, liberato dalle truppe di Antonio José de Sucre, entrava nella federazione finché nel 1830 i tre Paesi si separarono e ciascuno acquistò la propria sovranità. Nel 1832 la Colombia divenne “Repubblica della Nuova Granada” e fu retta fino al 1841 da due presidenze liberali (Francisco de Paula Santander fino al 1837 e José Ignacio Márquez nel 1837-41) dalle quali vennero ridotti i privilegi della Chiesa cattolica. In questo periodo si acuirono i contrasti, che dovevano poi contraddistinguere la storia del Paese, tra liberali, laicisti e conservatori, strettamente legati alla gerarchia ecclesiastica. La prima fase di questi dissidi interni si concluse con l'espulsione dei gesuiti e la proclamazione della separazione fra Stato e Chiesa, separazione che venne riconfermata nel 1863, quando il Paese divenne “Repubblica degli Stati Uniti di Colombia”, dopo un interregno conservatore e clericale cominciato nel 1857.
I conservatori al potere.
Attraverso l'alternarsi di vari presidenti, questo tipo di regime si protrasse fino al 1880, quando il conservatore Rafael Nuñez diede inizio a un tipo di amministrazione che doveva durare fino al 1930. La Costituzione del 1886 e il Concordato del 1887 furono gli episodi base del governo Nuñez. La nazione fu chiamata semplicemente “Repubblica di Colombia”; la Chiesa riebbe molti dei privilegi goduti in passato, Nuñez ricevette il titolo di “rigeneratore”. La sua morte, nel 1894, dimostrò però che l'apparente equilibrio era dovuto al peso della sua persona e nel Paese riesplose la violenza. Liberali e conservatori si scontrarono con furore, dando origine, nel 1899, a quella che fu chiamata “la guerra dei mille giorni”. I conservatori, comunque, riuscirono a mantenersi al potere. Circa centomila morti e un dissesto economico gravissimo furono la immediata conseguenza del conflitto; il Paese stava faticosamente tentando la ricostruzione, quando, il 3 novembre 1903, durante il mandato del presidente José M. Marroquín, avvenne la secessione del Panamá, proclamatosi indipendente con l'aiuto degli Stati Uniti. Spettò al presidente Rafael Reyes, nel 1904, il compito di risanare le ferite nazionali: egli operò, infatti, in tale direzione, ma lo fece da dittatore. Il suo dominio ebbe termine nel 1909. Da allora, fino al 1930, fu un succedersi di governi moderati, che molto si occuparono dell'ordine pubblico, ma poco o nulla del sottosviluppo. La Colombia era rimasta con le stesse strutture agrarie del sec. XIX, che ne avevano fatto uno dei maggiori centri di produzione del caffè. Conservatori e liberali si dividevano la proprietà delle risorse, secondo un impianto oligarchico che condannava alla miseria il mondo contadino. Le loro lotte non avevano alla base un'alternativa sostanziale sul piano politico, tranne che in merito ai rapporti con la Chiesa (laicisti i liberali, clericali i conservatori). La prima guerra mondiale e le sue conseguenze apportarono tuttavia novità, stimolando le diversificazioni produttive e incoraggiando gli investimenti stranieri. Si profilò in particolare una prima forma di industrializzazione, con la nascita di ceti operai e medi. Il fenomeno determinò l'incubazione di esigenze di ricambio, che nel 1930 provocarono il crollo del regime conservatore e l'avvento del presidente liberale Enrique Olaya Herrera.
Dal governo liberale alla dittatura militare.
Il nuovo governo cercò, con una legislazione abbastanza avanzata, di venire incontro alle richieste dei lavoratori. Questa politica continuò anche dopo l'incidente con il Perú per il possesso della città di Leticia, sul Rio delle Amazzoni, conclusosi, grazie all'intervento della Società delle Nazioni, con il riconoscimento delle ragioni colombiane. Alfonso López Pumarejo (1934-38), Eduardo Santos (1938-42) e ancora López Pumarejo (1942-45), successori di Olaya Herrera, avviarono iniziative per migliorare il livello di vita del Paese, pur senza procedere a radicali riforme. Nel 1945 fu anche ritoccata la Costituzione, per inserirvi garanzie democratiche. I conservatori replicarono aspramente, al punto da costringere López Pumarejo, nel luglio 1945, a ritirarsi. L'anno successivo vinsero le elezioni ed elevarono alla suprema magistratura Mariano Ospina Pérez. Questi non poté assicurarsi l'intero controllo del Paese perché i liberali continuavano a detenere la maggioranza nelle Assemblee legislative e allora si irrigidì in un'azione repressiva, finché nell'aprile 1948, in seguito all'assassinio del leader della sinistra liberale Eliécer Gaitán, l'opposizione promosse una rivolta (rimasta famosa come bogotazo per la particolare violenza raggiunta a Bogotá) che sfociò in un'altra guerra civile. Le elezioni del 1949 peggiorarono la situazione portando alla presidenza Laureano Gómez Castro, conservatore tra i più fanatici, e nell'ottobre 1951 il popolo si ribellò al suo governo autoritario costringendolo a trasmettere temporaneamente la carica a Roberto Urdaneta Arbeláez. Si accese un confronto violento tra quelli che le autorità definirono “banditi” (e che in realtà erano guerriglieri liberali e comunisti) e l'esercito. Al culmine di questi sviluppi, il 13 giugno 1953, i militari deposero Gómez Castro e Urdaneta Arbeláez e affidarono la presidenza provvisoria al generale Gustavo Rojas Pinilla che si trasformò ben presto in dittatore e che fu destituito il 10 maggio 1957 da liberali, conservatori, parte del clero e dell'esercito coalizzati.
Un patto per l'alternanza.
Il 20 luglio gli ex presidenti Lleras Camargo (liberale) e Gómez Castro (conservatore) firmarono a Sitges, in Spagna, un patto per l'amministrazione in comune del Paese con presidenti e governi alternati almeno fino al 1974. Il 1º dicembre un referendum popolare sanzionò l'accordo. Nel 1958 si svolsero le elezioni: il 16 marzo per il Parlamento e il 4 maggio per il capo dello Stato. Il primo turno di presidenza toccò a Lleras Camargo. Le elezioni si succedettero regolarmente, ma, altrettanto regolarmente, esse registrarono fortissime percentuali di astensioni (fino all'80%): era uno dei sintomi della sfiducia che il popolo nutriva nel “sistema”. Ciò avvenne anche nel 1974 allorché, come candidato del solo Partito liberale, fu eletto presidente della Repubblica Alfonso López Michelsen e nel 1978, sia alle elezioni parlamentari sia a quelle presidenziali, allorché le urne decretarono la vittoria del liberale Julio César Turbay Ayala. Durante il mandato di quest'ultimo la vita politica colombiana fu turbata dal risveglio del terrorismo e della guerriglia. Nel 1982 la presidenza passò a Belisario Betancur Cuartas, leader del Partito conservatore, e nel 1986 al liberale Virgilio Barco Vargas.
Terrorismo e lotta ai narcotrafficanti.
Negli anni seguenti, ai progressi segnati nella risoluzione del problema del terrorismo politico (nel 1989 si erano raggiunte intese fra il governo e i principali gruppi della guerriglia, che portavano alla trasformazione del forte M-19, Movimiento 19 de Abril, attivo già dagli anni Settanta, in partito legale) si contrapponeva, in un quadro di grandi difficoltà economiche e di crescente indebitamento estero, la recrudescenza della criminalità legata al traffico di droga, che trova nella Colombia il maggior produttore mondiale (insieme alla Thailandia). Di fronte a una vera e propria guerra totale tra lo Stato e i narcotrafficanti, si intensificavano nel 1989 gli aiuti USA (65.000.000 di dollari e invio di consiglieri militari), ma a ogni successo governativo si alzava il livello dello scontro con attentati, stragi sistematiche e omicidi mirati, particolarmente nei confronti di esponenti politici (Luís Carlo Galán, liberale, e Bernardo Jaramilla Ossa, dell'Unione Patriottica, entrambi candidati alle presidenziali del 1990), di giudici, di membri delle forze dell'ordine, di giornalisti. Il neopresidente liberale Cesar Gaviria Trujillo, eletto nell'agosto 1990, impostava una politica di riconciliazione inserendo nel suo governo elementi dell'M-19 e impegnandosi a una revisione costituzionale per favorire un maggior pluralismo di partiti, una riduzione dei poteri presidenziali, norme per impedire l'estradizione di colombiani in altri Paesi. Quest'ultimo aspetto, frutto anche delle trattative del governo con i narcotrafficanti di Cali e Bogotá che nel dicembre 1990 accettavano di collaborare, portavano il potente capo del "cartello" di Medellín, Pablo Escobar, a consegnarsi (giugno 1991). Ma, nel 1992, Escobar fuggiva dal carcere e contestualmente si inaspriva l'attività dei gruppi guerriglieri delle Forze armate rivoluzionarie di Colombia (FARC) e dell'Esercito di liberazione nazionale (ELN). Alla nuova ondata di attentati il governo rispondeva con la proclamazione dello stato d'emergenza (novembre 1992) e potenziando le forze di sicurezza. Le elezioni per il Congresso (marzo 1994) confermavano la maggioranza liberale, così quelle presidenziali, vinte al ballottaggio da Ernesto Samper Pizano (giugno 1994). Ambedue le consultazioni, però, vedevano la partecipazione di una minoranza di colombiani, mentre le più gravi questioni del Paese, dal narcotraffico (nonostante l'uccisione di Escobar nel dicembre 1993 e altri successi contro gli appartenenti al “cartello” di Medellín, sostituito peraltro da quello di Cali) alla guerriglia, alla situazione economica, erano lungi da una reale soluzione. Ad aggravare la situazione si aggiungevano le gravi accuse rivolte a Samper di collusione con i narcotrafficanti di Cali: il presidente riusciva a essere scagionato da ben due Commissioni parlamentari d'inchiesta (dicembre 1995 e giugno 1996), nonostante l'ammissione dei suoi collaboratori che egli fosse a conoscenza dei finanziamenti illeciti; ma la vicenda finiva per travolgere i vertici dello Stato con le dimissioni di generali, l'arresto di ministri e parlamentari e dello stesso procuratore generale Orlando Vásquez Velásquez (maggio 1996). Le elezioni presidenziali del giugno 1998 vedevano il netto successo del neo-liberista Andrés Pastrana Arango che, grazie all'appoggio di eminenti personalità del Paese come lo scrittore Gabriel García Márquez e soprattutto alla promessa di incentivi fiscali per le aziende e all'impegno di lotta contro la corruzione, veniva preferito all'ex ministro degli Interni Horacio Serpa, presentatosi come il “candidato dei poveri”. Ancora prima del suo insediamento ufficiale, Pastrana incontrava il leader delle FARC, e contemporaneamente, con la mediazione della Chiesa tedesca, si avviavano in Germania incontri tra esponenti della società civile colombiana e dell'ELN.
Il duemila.
Negli anni successivi trattative di pace con entrambe le formazioni venivano a più riprese avviate ed interrotte senza portare ad alcun risultato e nell'aprile 2000 le FARC annunciavano la costituzione del Movimento politico bolivariano. Anche il cosiddetto “Plan Colombia”, il piano di pace basato sulla sostituzione con colture alternative delle piantagioni di coca presentato dal capo dello Stato alla fine del 1999, che prevedeva peraltro una risposta eminentemente militare ai gravi problemi, primo fra tutti quello della proprietà terriera, connessi alla guerriglia e al narcotraffico, si rivelava sostanzialmente inefficace, nonostante godesse dell'appoggio – finanziario e tecnico – degli Stati Uniti. Per converso, il conflitto armato che vedeva opporsi su più fronti guerriglieri, formazioni paramilitari di destra e forze dell'esercito causava migliaia di morti anche tra la popolazione civile e decine di migliaia di profughi. Nel febbraio del 2002 Ingrid Betancourt, candidata alle presidenziali, fu sequestrata dalle FARC. In un clima di forte tensione, ma senza gravi incidenti, nel maggio 2002 si svolgevano le elezioni presidenziali, in cui si affermava, già al primo turno, il candidato indipendente di destra Álvaro Uribe Vélez, che aveva impostato tutta la propria campagna sulla linea dura contro la guerriglia. Nell'agosto dello stesso anno, in coincidenza con l'insediamento del nuovo presidente, gli scontri tra le forze armate e le FARC si facevano sempre più aspri, tanto che Uribe proclamava lo stato d'emergenza in tutto il Paese. Nel biennio 2003-2004 la guerra civile proseguiva in diverse aree del Paese. Le elezioni legislative del marzo 2006 sono state vinte dalla coalizione che sosteneva il presidente, ma l'astensione ha superato il 50% del totale. La politica del presidente Uribe, rieletto in quello stesso anno, non riusciva ancora a garantire al Paese la completa cessazione delle ostilità. Nel maggio 2008 veniva resa pubblica la notizia della morte di Manuel "Tirofijo" Marulanda, leader storico delle FARC, mentre l'uccisione del numero due Raul Reyes, avvenuta con un raid aereo in territorio ecuadoriano, scatenava una crisi diplomatica con Ecuador e Venezuela. In luglio veniva liberata dall'esercito I. Betancourt dopo oltre sei anni di prigionia.






