Storia

Abitata, prima dell'arrivo degli Spagnoli, da comunità indigene non particolarmente civilizzate, nonostante i loro contatti con gli Aztechi e i Maya, l'attuale Costa Rica fu conquistata agli inizi della seconda metà del sec. XVI soprattutto per opera di Juan Vázquez de Coronado. Il territorio fu incorporato nella Capitanía General del Guatemala, a sua volta inserito nel Vicereame della Nuova Spagna (Messico). L'indipendenza del Messico coinvolse pertanto tutti i Paesi dell'America Centrale (15 settembre 1821), ma il capo del nuovo Stato messicano, Agustín Iturbide, non accettò il distacco del Centramerica e nel gennaio 1822 occupò la regione.

Poco dopo la caduta di Iturbide, i liberali centramericani, riuniti in Assemblea Costituente a Città del Guatemala il 5 giugno 1823, ribadirono la posizione autonomistica del 1821, riassunta nella formula “né con la Spagna, né con il Messico, ma con il Centramerica”. Il 1º luglio successivo nacque lo Stato repubblicano delle “Province Unite del Centramerica”, che si sciolse nel 1839, quando, dopo un periodo di lotta, i componenti dell'entità federativa (Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras e Nicaragua) si separarono. La popolazione costaricense, nella stragrande maggioranza di origine europea, sia creola (nata sul posto) sia di fresca immigrazione, era dominata da alcune famiglie di latifondisti, ma anche la piccola proprietà era diffusa; questa struttura attutiva i contrasti sociali e favoriva un regime di pacifico paternalismo. Dopo il 1860, quando si sviluppò la coltivazione del caffè, che fece entrare la Costa Rica nei mercati internazionali, i proprietari delle piantagioni scesero in lotta per motivi di concorrenza e incisero sempre più nella formazione dei governi. Ne derivò, nel 1870, l'ascesa al potere di un caudillo, Tomás Guardia, che facilitò soprattutto gli Inglesi, già presenti con vistosi investimenti nell'America Centrale, mentre lo statunitense Minor Cooper Keith iniziava lo sfruttamento delle banane, dando vita al famoso “impero” della United Fruit Company.

La penetrazione economica statunitense continuò sotto la presidenza di Cleto González Víquez (1906-10), che assegnò varie concessioni petrolifere a compagnie statunitensi, e più tardi grazie anche alla politica di Ricardo Jiménez (1910-14) e Adolfo González Flores (1914-17). Dopo la dittatura di Federico Tinoco (1917-19), che fu deposto da una rivolta, con la presidenza di Julio Acosta García (1920-24) il Paese tornò al regime democratico-liberale e per circa vent'anni i mandati presidenziali di Ricardo Jiménez, Cleto González Víquez, Ricardo Jiménez, León Cortez e Rafael Angel Calderón Guardia si compirono regolarmente.

Alla scadenza elettorale del 1948, Rafael Angel Calderón Guardia tentò, con l'appoggio della destra, di farsi designare presidente per la seconda volta; gli elettori gli preferirono il riformista Otilio Ulate, ma il Congresso, dominato dai calderonistas, si rifiutò di riconoscere il responso delle urne e ordinò l'incarcerazione di Ulate. Calderón Guardia e T. Picado, che era stato presidente dal 1944 al 1948, chiesero aiuto ai dittatori Somoza del Nicaragua e Carías Andino dell'Honduras. I democratici costaricensi insorsero sotto la guida di José María Figueres e con il sostegno morale del governo guatemalteco. Figueres portò a termine vittoriosamente la propria azione: alla testa di una Giunta provvisoria amministrò il Paese fino al novembre 1949, poi trasmise il potere a Otilio Ulate. Nel 1953, quale leader del Partito di Liberazione Nazionale, fu eletto egli stesso capo dello Stato, ma quattro anni dopo dovette lasciare il passo al leader dell'opposizione conservatrice Mario Echandi. Si alternarono poi al potere conservatori e riformisti fino alla nuova presidenza di Figueres (1970), seguita nel 1974 dall'elezione di Daniel Oduber Quiros, anch'egli del Partito di Liberazione Nazionale. Nel 1978 tornarono alla guida del Paese i conservatori, con il presidente Rodrigo Carazo Odio, esponente della Coalizione per l'Unità. Le elezioni del 1982 furono vinte invece da Luis Alberto Monge Alvarez del Partito di Liberazione Nazionale. Coinvolto nella questione del Nicaragua, Monge Alvarez tenne una linea filoamericana e antisandinista. Il successore, il socialdemocratico Òscar Arías Sánchez, insediatosi alla presidenza nel 1986, avviò una politica più prudente, di concerto con i Paesi istmici, nel tentativo di appianare le divergenze col vicino Nicaragua, da cui, ad aggravare la situazione, giungevano migliaia di profughi. Nell'anno seguente, Arías Sánchez propose un accordo per la pacificazione della regione centroamericana, legato anche all'avvio di un processo di democratizzazione, che fu siglato a Esquipulas dai presidenti degli Stati vicini (El Salvador, Nicaragua, Guatemala, Honduras). Noto appunto con il nome di Piano Arías, esso si rivelò capace di promuovere un certo miglioramento nella situazione politica dell'area e valse al promotore il premio Nobel per la pace (1987).

Le agitazioni interne (1988-89), in risposta alla politica economica di austerità perseguita dal governo, aprirono una fase di instabilità, aggravata anche dal coinvolgimento di alcune autorità nel traffico di stupefacenti. Con le elezioni del febbraio 1990 la guida del Paese passò a Rafael Angel Calderón Fournier, candidato del Partito di Unità Socialcristiana (che conseguì anche la maggioranza parlamentare), mentre, nelle elezioni del 1994, la leadership era nuovamente conquistata dai socialdemocratici, il cui candidato José-Maria Figueras veniva eletto alla presidenza della Repubblica. Le elezioni presidenziali del febbraio 1998 erano vinte dal socialcristiano Miguel Angel Rodriguez, che aveva la meglio su José Miguel Corrales, del partito socialdemocratico. Esito analogo per le presidenziali dell'aprile 2002, che vedevano il candidato socialcristiano, Abel Pacheco, prevalere su quello dell'opposizione di centro-sinistra, Rolando Araya. Le elezioni presidenziali del febbraio 2006 sono state vinte da Oscar Arìas, con uno scarto minimo sul suo rivale: Otton Solis. Nell'ottobre 2007 si svolgeva un referendum con cui gli elettori approvavano un trattato di libero scambio con gli Stati Uniti.