Storia

La storia antica e medievale del Sudan coincide con quella della Nubia. Dagli inizi del sec. XVI, il Sudan costituiva uno Stato indipendente, sorto sulle rovine dell'antico regno di Aloa, ultimo dei regni cristiani medievali della Nubia, e dominato dalla stirpe guerriera dei fung. Per tre secoli i fung respinsero gli attacchi portati dall'Abissinia e dal vicino Darfur, ma non poterono resistere all'invasione egiziana del 1820, per cui il Sudan divenne dapprima un governatorato egiziano e nel 1899, dopo la liquidazione del Mahdī di Khartoum, un “condominio” anglo-egiziano (in realtà un dominio inglese).

L'istanza autonomista del Sudan cominciò a delinearsi fra la prima e la seconda guerra mondiale, propugnata dal partito patriottico Umma; ma nel 1922, quando l'Inghilterra riconobbe l'indipendenza dell'Egitto, non volle cedere il Sudan e nel 1936 il vecchio condominio fu riconfermato. Anche dopo la fine della seconda guerra mondiale, le petizioni dell'Egitto all'Inghilterra e all'ONU per il recupero del Sudan caddero nel vuoto. D'altra parte, cominciarono invece ad avere ascolto gli appelli dell'Umma per l'indipendenza assoluta, soprattutto dopo l'avvento al potere in Egitto di G. Nasser, favorevole al nazionalismo sudanese. Nel 1953 i leader di tale nazionalismo riuscirono a stipulare con il governo britannico un accordo che stabiliva i preliminari per l'indipendenza del Sudan, realizzatasi il 1º gennaio 1956.

Il nuovo governo nazionale si trovò ad affrontare cinque gravi problemi fondamentali: il separatismo del Sudan meridionale, i rapporti con l'Egitto, l'antitesi destra-sinistra, l'impegno del Sudan rispetto al conflitto arabo-israeliano, lo sviluppo economico, sociale e culturale. Nel Sudan meridionale le popolazioni nilotiche e niloto-camitiche, animiste o cristiane, intendevano difendere la propria identità dall'arabizzazione e, fin dai primi momenti, manifestarono una decisa e combattiva volontà separatista, sostenuta, in particolare, dalla Sudan African National Union (SANU).

I primi tentativi di repressione del separatismo suscitarono una reazione di vigore inatteso da parte della SANU e del Southern Front, che sfociò in una rivolta armata, condotta soprattutto dai guerriglieri Anya-Nya che inflissero pesanti perdite alle forze governative. All'aggravarsi della situazione pose fine per il momento un colpo di Stato attuato il 17 novembre 1958 dal generale Ibrāhīm ʽAbbū'd. Tuttavia anche il regime autoritario di quest'ultimo nel novembre 1964 dovette cedere il campo a un governo civile che, dominato dai sindacati comunisti, non fu in grado di risolvere i problemi del Paese.

Nel maggio 1969 un nuovo colpo di Stato promosso dai militari assegnò i pieni poteri a un Consiglio rivoluzionario presieduto dal colonnello Ga'far an-Nimeiry, che proclamò la Repubblica Democratica del Sudan. Assumendo dapprima posizioni di sinistra, Nimeiry represse duramente la destra e strinse legami coi Paesi del blocco comunista. Poi, spinto dall'esigenza prioritaria di pacificare la nazione, avviò una politica di riconciliazione coi separatisti del Sud, di riequilibrio interno fra destra e sinistra e di graduale disimpegno dalle aspirazioni del nazionalismo panarabico. La svolta si precisò nel corso del 1971, allorché Nimeiry sciolse il Partito comunista e costituì come unica formazione politica legale l'Unione Socialista Sudanese. Nel 1972 riuscì infine a concordare coi separatisti l'istituzione di una Regione Meridionale autonoma (pace di Addis Abeba), mettendo momentaneamente termine a una guerriglia costata un milione di morti. L'assetto dato internamente al Paese fu formalmente sancito dalla nuova Costituzione dell'aprile 1973. La difficile opera di unificazione nazionale si scontrò tuttavia con persistenti dissensi ideologici e rivalità territoriali. Ne derivarono incessanti complotti e contestazioni violente contro la persona e il regime di Nimeiry che, per fronteggiare la situazione, alternò la linea dura con vari tentativi di conciliazione. A queste tensioni si aggiunsero, specie dopo il 1977, gli effetti di un'acuta crisi economica esasperata dall'afflusso di migliaia di profughi dall'Eritrea e dal Ciad.

In politica estera le difficoltà intestine si riflettevano in un inasprimento dei rapporti con l'Etiopia e con la Libia (accusata più volte di minacciare la stabilità del Sudan) e in un più netto inserimento nel campo moderato. Con l'appoggio militare e finanziario degli USA e dell'Arabia Saudita, Nimeiry rafforzò i legami con Il Cairo. Alla crisi economica si aggiunse l'attivismo dei Fratelli Musulmani e le continue rivolte dei neri del Sud: Nimeiry nel 1983 revocò la pace di Addis Abeba e instaurò un regime autoritario e fortemente caratterizzato in senso islamico, rintroducendo la shari‘ah. Il 6 aprile 1985 il generale Abdel Rahman Sewar el Dahab depose Nimeiry con un colpo di Stato, fece promulgare una nuova Costituzione e riallacciò i rapporti con Tripoli. Le elezioni del maggio 1986 portarono al potere il partito Umma di Sadia el Mahdi, divenuto primo ministro, mentre la presidenza passò ad Ahmed Ali el Mirghani. Come conseguenza della revoca della pace la lotta armata dell'Esercito Popolare di Liberazione del Sudan (SPLA), che chiedeva l'abrogazione della legge islamica (shari‘ah) e un'ampia autonomia delle regioni meridionali, si inasprì gravemente, provocando la rapida disgregazione del tessuto sociale e produttivo, e con questo dell'organizzazione stessa dello Stato.

In questo quadro di forti tensioni e di instabilità politica trovò spazio un nuovo colpo di Stato militare (giugno 1989): il potere venne assunto da un Consiglio della Rivoluzione per la Salvezza Nazionale, il cui presidente, il generale Omar Hassan Ahmed el Bashir, divenne capo dello Stato e del governo, instaurando insieme al leader integralista Hassan al Turabi, nominato presidente dell'assemblea Nazionale, un potere bicefalo islamico-militare. Il nuovo regime, messi al bando di tutti i partiti politici e i sindacati, ridusse così tutti gli spazi di colloquio con le opposizioni, accentuando inoltre la tensione nelle regioni meridionali per la sua alleanza con il Fronte Nazionale islamico. Perseguendo con determinazione l'islamizzazione anche della stessa capitale, nel Sud del Paese il governo conseguì nel corso del 1992 delle significative affermazioni sulle forze della guerriglia, indebolita da scissioni interne. Sul piano delle relazioni internazionali, invece, vennero approfonditi i rapporti con l'Iran, la Libia e l'Iraq (appoggiato durante la guerra del Golfo), nonché rafforzate le iniziative di sostegno ai gruppi fondamentalisti dell'Africa del Nord. Questa politica portò al deterioramento delle relazioni con l'Egitto e con i Paesi occidentali tanto che, nei primi mesi del 1996, le Nazioni Unite e gli Stati Uniti accusarono il Sudan di sostenere il terrorismo islamico internazionale e intimarono il governo a estradare gli integralisti ricercati per l'attentato al presidente egiziano H. Mubarak. Nonostante questo il potere di Omar el Bashir si rafforzava e venne legittimato dalle elezioni presidenziali di marzo di quell'anno.Sul fronte interno, grazie alla mediazione dell'ex presidente USA J. Carter, nel marzo 1995 il governo sudanese sembrò raggiungere una tregua con i separatisti delle regioni meridionali (SPLA e Movimento per l'indipendenza del Sud del Sudan), ma ben presto le ostilità ripresero con una vittoriosa offensiva militare lanciata dalle organizzazioni separatiste, sostenute dall'Eritrea e dall'Etiopia (gennaio 1997).

Una breve apertura costituzionale avvenne nel 1998 quando con un referendum venne approvata una nuova Costituzione, la quale prevedeva, se pur con molte limitazioni, il multipartitismo. Tuttavia nel dicembre 1999 Omar el Bashir, per rafforzare la sua leadership e per rimuovere da posizioni di potere il leader islamico, Hassan al Turabi, sciolse l'Assemblea Nazionale e dichiarò lo stato d'emergenza. Come successivo passo il presidente riuscì a ristabilire le relazioni diplomatiche con l'Uganda e l'Egitto. Con le successive elezioni del dicembre 2000 il presidente venne riconfermarono per cinque anni a capo dello Stato e per tacitare le opposizioni prorogò lo stato d'emergenza, garantendosi in questo modo ampi poteri e limitando i diritti individuali. Negli anni successivi si susseguirono le richieste internazionali perchè il governo trovasse una riconciliazione con le forze del sud del Paese, e significativi passi in avanti nel processo di pace furono fatti nell'ottobre 2003 quando il vicepresidente Ali Osman Taha e John Garang, leader dello SPLA, annunciarono l'intenzione di porre fine alla guerra civile tra nord e sud del Paese e, grazie alla mediazione di Stati Uniti e Kenya, nel 2005 firmarono un accordo sull'amministrazione delle regioni meridionali contese: venne riconosciuto un governo autonomo al Sudan meridionale e previsto un referendum sull'indipendenza della regione entro il 2010. Mentre il governo e lo SPLA si accordavano, nel gennaio del 2004, le truppe governative lanciarono un'offensiva nella regione del Darfur (Sudan occidentale) dove, in una situazione di decennale conflitto l'Esercito/Movimento di Liberazione Sudanese (ex Movimento di Liberazione del Darfur) combatteva per rispondere agli attacchi delle popolazioni arabe Janjaweed: nel 2005 si stimava che più di 180.000 persone fossero già morte in questo conflitto. Nell'estate del 2005 J. Garang morì in un incidente aereo e la sua morte scatenò disordini nel Paese, anche se Omar el Bashir assicurò che il processo di pace sarebbe proseguito; sempre in questo periodo venne firmata una nuova Costituzione con cui il Sudan diveniva una Repubblica federale. Sul fronte del Darfur, nel mese di maggio del 2006, venne stipulato un nuovo accordo ad Abuja (Nigeria) promosso dall'Unione Africana fra il governo e L'Esercito/Movimento di Liberazione Sudanese, che però non venne accettato da una parte delle formazioni ribelli: le violenze si estesero anche al vicino Ciad. A complicare le cose, la risoluzione 1706 dell'ONU (agosto 2006) che disponeva l'invio di un contingente per supportare la presenza militare dell'Unione Africana, non venne sottoscritta dal governo sudanese. Nel febbraio 2007 i presidenti del Sudan, del Ciad e della Repubblica Centrafricana sottoscrivevano congiuntamente in Francia la “Dichiarazione di Cannes” nella quale si impegnavano ad accettare un tavolo di trattativa per il Darfur alla presenza dell'ONU e dell'Unione Africana, ma nel maggio 2008 continuavano gli scontri tanto che i ribelli della JEM (Movimento per la giustizia e l'uguaglianza) assalivano la capitale Khartoum. Proprio a causa della guerra civile in Darfur, nel luglio 2008, il presidente Omar el Bashir veniva formalmente accusato di genocidio, crimini di guerra e contro l'umanità dalla Corte penale internazionale (ICC). Nel febbraio 2009 il JEM e il governo firmavano una dichiarazione d'intenti in vista di un cessate il fuoco.