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#inviaggio | Dall’Italia all’Australia, la rinascita corre lontano
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Foto: Stefano Dalvai
Ci siamo conosciuti a uno dei miei laboratori di filosofia forestale. È pure arrivato in ritardo, ma ha recuperato in fretta con la curiosità degli occhi e delle domande. Fin da subito ha condiviso la sua passione: la corsa in montagna. Per me, lenta e meditativa tra i boschi, era un altro di quei matti da guardare con invidia per i polmoni che tengono fiato e le gambe che vanno lontane tra lunghe distanze e dislivelli tra le cime. Chiacchierare con lui era il regalo di uno sguardo a velocità diversa sulla natura che ci circonda, sul rapporto con il proprio corpo e con i pensieri che, ad andar per sentieri, vanno e vengono tra superfici e profondità.
L’ho saputo solo dopo mesi che aveva affrontato un trapianto di midollo osseo. Che poi certo, mica le persone vanno in giro con scritto sulla maglia “sono un trapiantato”, no? Però una maglia a dire il vero lui la ha, e se la porta a zonzo con orgoglio. È una maglia di Superman, blu come i cieli più vicini alle vette e alle croci, dove campeggia un hashtag che è una promessa: #nonsimollaunchezz. E a non mollare quando si è molto vicini al limite, poi, si arriva lontano. In questo caso… in Australia!
Il prossimo aprile (dal 15 al 20), a Perth, si terranno i World Transplant Games 2023, Campionati Mondiali aperti ai recettori di trapianto d’organo e di cellule emopoietiche da altri individui o specie, che richiedono o hanno richiesto l’uso di terapie farmacologiche immunosoppressive. Nello specifico: cuore, polmone, fegato, rene, pancreas, cellule staminali e midollo osseo. Anche la Nazionale italiana avrà in Australia la sua rappresentanza, ma probabilmente non molti ne parleranno perché la risonanza dell’atletica parallela a quella mainstream è purtroppo sempre troppo poca. Noi vogliamo farlo perché pensiamo che siano storie come questa a meritare le copertine, storie di riscatto e battaglie quotidiane, vinte con un misto di determinazione, fortuna, generosità e solidarietà. Ecco che allora è nella storia di Stefano Dalvai che vi porto in viaggio, e in quella del suo progetto.
Stefano, la prima domanda è quella che ti avranno già posto in molti, ma credo sia inevitabile che le persone siano curiose di sapere. Tu non sei un atleta di professione: com’è nata allora la voglia di correre su distanze così lunghe e impegnative?
Ho cominciato a correre qualche mese dopo il trapianto, ho iniziato per pura passione con qualche chilometro, poi la compagnia di amici mi ha avvicinato al mondo delle gare. Inizialmente ho fatto delle gare con un chilometraggio abbastanza ridotto, anche se da sempre mi hanno affascinato le lunghe distanze… perché riesco a entrare in una sorta di “viaggio”, dove mente e corpo riescono a incontrarsi. Un viaggio dove ritrovo le forze che ho dovuto trovare per affrontare la malattia, dove ritrovo posti nascosti nell’anima e spesso nuove ispirazioni.
Perché porti la maglia sulle croci? Quello della malattia – e della corsa – è un calvario da vestire di speranza? O di superpoteri, come quelli degli eroi?
La maglia per me rappresenta il mio donatore, colui che mi ha salvato la vita. Mi è stata regalata da amici dal primo giorno in cui mi era stata diagnosticata la malattia, è stata sempre in camera con me durante le terapie e l’ho indossata il giorno del trapianto la prima volta.
Perché la porto sulle vette? Perché è una promessa al mio donatore, con il quale ci siamo scritti qualche lettera, che in ogni mèta o vetta raggiunta lui sarebbe stato con me e a rappresentarlo è proprio la maglia, che è anche simbolo di speranza e ispirazione per chi vede o segue le mie corse.
Ti è capitato di pensare di mollare, di ritirarti dalla terapia o da una gara? Cosa ti ha dato la forza per affrontare la fatica e arrivare così lontano da quel 2014 in cui ti è stata diagnosticata la malattia?
Non ho mai pensato di mollare o di ritirarmi dalle terapie, anche se in alcuni giorni non si hanno forze e le giornate chiuso in una stanza sterile sono davvero lunghe. La forza e la motivazione principale mi sono state trasmesse dai miei genitori, che sono sempre stati con me durante la malattia. Le fatiche le ho affrontate grazie ai miei sogni e obiettivi, e a 25 anni ne avevo molti da portare a termine.
Nelle gare… se ho pensato di ritirarmi? Certo, dopo 5 minuti di ogni gara mi chiedo chi me l’ha fatto fare!
Hai un progetto per questi campionati mondiali. Ce lo racconti?
Sì, è una piccola raccolta fondi, “Andare in fondo, per arrivare lontano” che servirà per coprire le spese di partecipazione ma anche, spero, per sostenere la Fondazione Città della speranza, che aiuta i piccoli pazienti dell’Ospedale pediatrico di oncoematologia di Padova e le loro famiglie. Perché credo che tutti i bambini abbiano dei sogni, e noi come società possiamo aiutarli a realizzarli.
In questo percorso di rinascita, fiducia e crescita, personale e atletica, cosa fai per affrontare i momenti più duri?
Corro. Può sembrare scontato, ma per affrontare i momenti più duri, corro. Con la corsa riesco a liberarmi dai pensieri più pesanti, a comunicare quello che a parole non riesco a dire e, a volte, a superare alcuni dolori. Poi quando riesco faccio anche un po’ di volontariato, perché aiutare qualcuno che ha bisogno credo ci aiuti anche a stare meglio con noi stessi e affrontare le giornate in maniera più serena e leggera.
Stefano non è una persona speciale, non fatevi strane idee. Stefano è come tanti di noi che speciali non si nasce, ma ci si diventa per quello che ci succede. E la differenza è lì, in come affrontiamo la paura e le incertezze, in come ce ne prendiamo cura e impariamo a conoscerle e a conoscerci, in come entriamo in relazione con le persone in divenire che noi stessi siamo. Non è come reagiamo alle cose, è come a quelle cose rispondiamo. È in quella risposta alle sfide che ci accadono ciò che ci rende speciali. E che ci fa osare progetti che non avremmo mai immaginato, anche e soprattutto imparando a chiedere aiuto. Perché realizzarli con il sostegno di molti li moltiplica negli effetti e nella ricchezza di cui si fanno portatori.
Per sostenere la sua iniziativa e accompagnare virtualmente Stefano non solo ai Giochi di Perth ma anche e soprattutto nella sfida quotidiana di sensibilizzare le persone sul potere del dono, possiamo contribuire con un piccolo gesto dal grande valore. Possiamo farlo attraverso la sua campagna di crowd funding, che non chiede grandi cifre, ma che può sperare di raggiungerle solo grazie alla partecipazione di molti e molte, a partire dal basso. O meglio dal fondo, per andare lontano.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.