www.unimondo.org/Notizie/Tatuaggi-e-sistema-immunitario-nuove-prospettive-all-orizzonte-238425
Tatuaggi e sistema immunitario, nuove prospettive all’orizzonte?
Notizie
Stampa

Foto: Pexels.com
Fare un tatuaggio per molti è una decisione impulsiva. Un patto, il ricordo di un momento, una sfida con se stessi o con gli altri. Per me di impulsivo non c’è stato niente: è stata una decisione frutto di mille e mille riflessioni di carattere economico, estetico, simbolico, sanitario. Alla fine mi hanno convinta l’onestà del tatuatore, la dolcezza di uno sguardo accogliente, la voglia di disegnare un promemoria indelebile, l’estrema cura e pulizia del luogo. Anche se poi quello che è successo è stato abbastanza banale, a livello pratico. E in effetti è quello che accade da secoli, magari con qualche evoluzione tecnico-igienica, ma la sostanza è la stessa: minuscole incisioni sulla pelle per far entrare inchiostro.
Dubbi ne avevo e ne rimanevano, purtroppo un rischio a cui non avrei potuto dare risposta se non provando. Quali conseguenze avrebbe avuto questa operazione, sulla pelle e sul corpo più in generale? Sarebbe sbiadito? Si sarebbe rovinato o alterato nel colore o nella forma? Avrei sviluppato reazioni allergiche? I colori sarebbero stati pericolosi per il corpo? Come avrebbe reagito il sistema immunitario? Queste e altre domande simili hanno trovato una prima e immediata risposta nei fatti, nei numeri (solo il 5-6% dei casi crea problemi) e nella fortuna: la maggior parte delle persone non sviluppa alcuna reazione importante, i colori sono chimicamente sempre più evoluti per essere il meno impattanti possibili, le accortezze igienico-sanitarie sono obblighi sempre più serrati.
Recentemente però sono emersi ulteriori spunti di riflessione e ricerca, raccolti in un articolo di Katherine J. Wu, uscito su «The Atlantic» lo scorso marzo, che parte da alcune questioni centrali: come possono i tatuaggi resistere così a lungo nel tempo? La pelle è il primo strato di difesa del corpo, il luogo dove il sistema immunitario mette in atto tutte le sue strategie per eliminare il prima possibile elementi estranei e aggressivi e attivare rapidamente un processo di guarigione. È quello che accade con le ferite cutanee, le ustioni, le schegge, le cicatrici. Quindi come mai i tatuaggi non vengono distrutti?
Prima di tutto i pigmenti non sono così facili da eliminare. Anzi, restano proprio nella “pancia” dei macrofagi, ovvero quelle cellule che dedicano la loro vita a eliminare le sostanze patogene nel corpo, ma che non riescono a “digerire” il colore. Anzi, quando le cellule muoiono, i loro resti, compreso appunto anche il colore, vengono assorbiti da cellule nuove. I tatuaggi diventano quindi delle “distrazioni immunitarie” in cui il colore sembrerebbe giocare un ruolo rilevante nell’alterazione delle proteine che servono a comunicare con altre cellule, tenendo, peraltro senza risultati di successo, cellule deputate a fare altro occupate invece in costanti tentativi di ingestione dell’inchiostro.
La fiducia riposta dagli scienziati nella capacità di queste cellule di recuperare in fretta le loro funzioni è comunque confortante. Anzi. I piccoli danni provocati dal tatuatore, che usa strumenti sterili e ipoallergenici, potrebbero perfino contribuire a mantenere attive le cellule immunitarie vicine o a prevenire attacchi autoimmuni, dimostrando che se il corpo tollera un tatuaggio il sistema immunitario è stato in grado di adattarsi. Si tratta di teorie derivanti da dati raccolti su un campione di persone molto tatuate, che nel tempo rilevano percentuali maggiori di molecole immunitarie, comprese quelle degli anticorpi… come se il corpo fosse più allenato a gestire in maniera oculata le funzionalità delle sue difese. Attenzione però. Avere più anticorpi non significa avere una migliore immunità. Inoltre sono effetti di cui non si conosce ancora la durata e non è nemmeno così scontato che l’aumento degli anticorpi sia conseguenza diretta di un tatuaggio.
Ciò non toglie che le dinamiche innescate dai tatuaggi possano essere fonte di ispirazione per lo sviluppo di tecnologie avanzate che riguardano la gestione delle difese immunitarie, per esempio in connessione ai vaccini che al momento vengono iniettati in profondità a livello muscolare, dove le cellule immunitarie sono in numero minore, ma che se fossero iniettati a livello della pelle (vaccini intradermici) avrebbero il vantaggio di necessitare di dosi ridotte a fronte di un maggior numero di cellule immunitarie da “informare” e della loro reazione immediata. Si tratta di una tecnica più complicata e delicata, non ancora diffusa e adeguatamente sperimentata… ma è una strada da percorrere per la ricerca scientifica, che si è già aperta sulla possibilità di utilizzare per la somministrazione di vaccini strumenti uguali o analoghi a quelli dei tatuatori, che con la precisione chirurgica che garantiscono permettono di ottenere risultati incoraggianti.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.