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Playlist per la fine del mondo
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Foto: Dex Ezekiel da Unsplash.com
Da un po’ avevo in testa un pezzo e adesso è arrivato il momento di scriverlo. Nessun tormentone estivo, nessuna scaletta per un concerto nello stadio dell’estinzione. Solo una personale temporanea interpretazione sonora del momento che stiamo attraversando, chi con gli occhi bendati, chi con gli occhi gonfi di tristezza, rassegnazione e rabbia. Una mini playlist come quelle che vanno di moda, per stirare, per la cena con gli amici, per il viaggio in macchina. E per la fine del mondo, perché no. Una di quelle che accompagna la lenta discesa sull’orizzonte del disastro, che anche se non sarà epico avrà almeno una colonna sonora a cullare il cuore. E allora, play.
#1: The world should revolve around me, dei Little Jackie. Perché l’umano ha questo vizio tremendo, quello di essere convinto che il mondo giri intorno a lui, “c’è n’è soltanto uno come me e sono una specie minacciata”. Da carnefice a vittima in poche righe di pentagramma. Un paio di versi ed ecco servita la prospettiva dell’estinzione, che prospettiva a queto punto non lo è mica poi tanto se negli ultimi 10 anni sono già state dichiarate estinte 160 specie, scomparse a causa di deforestazioni selvagge, perdita di habitat, cambiamenti irrevocabili nelle condizioni climatiche che ne garantivano la sopravvivenza. Interi ecosistemi a rischio, con un cerchio che si stringe sempre di più intorno a noi.
#2: Hunter of invisible game, di Bruce Springsteen, di cui già i soli primi 5 abbondanti minuti di intro musicale basterebbero a disegnare l’atmosfera. Siamo a caccia di prede invisibili e la sensazione è che alla fine le scelte possibili non siano poi così tante: “Prega per te stesso e per non cedere quando arriverà il momento della salvezza e speranze, fede e coraggio potranno sorgere o svanire come polvere nella polvere”.
#3: Shake the disease, dei Depeche Mode. “Ci ho provato più che ho potuto, a mostrarti quanto per me sia importante.” E vengono in mente le riflessioni di Jonathan Fisk: il trauma ambientale si accumula piano piano giorno dopo giorno, quando siamo sempre più concentrati su noi stessi e sulle nostre piccole sopravvivenze individuali, mentre ignoriamo per autodifesa e per abitudine tutte le grandi morti che ci accadono continuamente intorno. Uno scenario sul quale la pandemia ha messo il carico, spolverando tutto quello che al suo inizio avevamo sperato ci avrebbe salvati: fiducia, senso di comunità, riconquistata responsabilità verso il prossimo e l’ambiente. Understand me, understand me. Prova a capirmi.
#4: Stand by me, reinterpretata dai PFC, Playing for change, perché alla fine, in questa apocalisse che si avvera sulle nostre teste, “se il cielo a cui alziamo gli occhi dovesse crollare e le montagne sbriciolarsi in mare, non piangerò, non piangerò no, non verserò una lacrima se staremo vicini, se saremo fianco a fianco.”
#5: After the storm, dei Mumford and Sons. “Scappo mentre piove e guardo in alto, in ginocchio e sfortunato. La notte ha sempre spinto avanti il giorno, devi conoscere la vita per vederne il declino. Ma non marcirò, no, non questa testa e non questo cuore.” Serve aggiungere altro? Sì, forse sì, altri due versi: “Ti ho preso per mano e siamo rimasti in piedi, a ricordare la nostra terra, quello per cui vivevamo.”
Questi ultimi anni rendono se possibile ancor più difficile evitare – o assemblare in maniera vagamente rassicurante – tutte le emozioni che dobbiamo affrontare. Ci siamo innamorati e disinnamorati del mondo praticamente ogni giorno. Cosa potrebbe significare mettere in pausa una playlist e forse anche i nostri sentimenti e lasciare che la tristezza e lo sconforto accumulati fluiscano e possano essere vissuti pienamente, e così magari almeno in parte elaborati? È possibile che si producano nuove alleanze e nuove possibilità di conoscenza e che un gentile ottimismo raduni intorno a sé il dolore e la rabbia collettivi e li accarezzi, nutrendoli con relazioni più rispettose, consapevoli di quello che abbiamo perduto e determinate a proteggere ciò che ancora rimane o potrebbe nascere?
La risposta al momento non c’è, non qui per lo meno. Qui c’è un’ultima traccia, o meglio una raccolta di ultime, piccole tracce. Le impronte della terra, e delle sue voci.
#6: Earth.fm, un progetto di citizen science, una cassaforte di tesori sonori planetari.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.