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Messina Denaro, la fine di un mito
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Matteo Messina Denaro - Foto: Vita.it
Una grande giornata per l'Italia intera, ancora di più per la Sicilia e della provincia di Trapani del cui territorio Matteo Messina Denaro era il capo indiscusso. Arrestato a Palermo, la Primula Rossa ha concluso la sua carriera di latitante, mettendo fine alla stagione dei grandi boss di mafia dell'era stragista. Esultano gli ambienti dell'associazionismo, mentre note amare arrivano da chi, come Luciano Traina, il cui fratello Claudio rimase ucciso nella strage di via D'Amelio, crede che questo arresto non sia così eccellente come appare.
I detenuti del carcere dell’Ucciardone di Palermo fecero la ola, stappando champagne e facendo baldoria sino a tarda notte la morte del giudice Giovanni Falcone, il 23 maggio del 1992. Oggi, a circa 31 anni di distanza, con la differenza che chi festeggia lo può fare correndo liberamente per le strade del Paese, a Trapani la cittadinanza esulterà con un sit-in, organizzato alle 17.00 da Libera di fronte il Comando provinciale dei Carabinieri l’arresto di Matteo Messia Denaro.
«Anche le scuole oggi hanno fatto quasi saltare i banchi per la gioia – afferma Salvatore Inguì, coordinatore provinciale di Libera Trapani - perché è una grandissima notizia. Non possiamo che rallegrarci per l’operato dei Carabinieri cha da anni erano sulle sue tracce, ragazzi e ragazze che io conosco personalmente che hanno sempre lavorato con il massimo impegno e un’abnegazione incomparabile. Un grande risultato anche perché è terminata la latitanza di un soggetto che era diventato un mito per i ragazzi, dimostrando che la vita da latitante non è per niente avventurosa, non è per niente romantica, non è da mitizzare perché è una vita che ti costringe a spostarti da un posto all’altro, non ti fa vivere gli affetti, ti fa stare nascosto come un sorcio nelle fogne. Ai ragazzi deve arrivare forte il messaggio che fare il boss latitante della mafia non paga, non è strada che spunta. Se qualcuno, com’è purtroppo avvenuto, lo ha indicato come stella polare, faro di un cammino da seguire, la risposta non è questa. La conferma che i grandi boss della mafia, per quanto si possano allontanare, alla fine non vanno oltre pochi chilometri. Per 30 anni Messina Denaro non ha lasciato casa propria».
Un mito paragonato addirittura a Padre Pio.
«Matteo Messina Denaro stava al territorio di Castelvetrano come Padre Pio alla Chiesa. Tratto proprio da un’intercettazione telefonica - ricorda Inguì - in cui due suoi accoliti dicevano che, per la sua grandiosità, bisognava fare a lui e anche al padre Ciccio Messina Denaro, superboss morto vent’anni fa in latitanza, una statua. Come per Padre Pio. Dovremmo ricordarci che questo signore “quasi Padre Pio”, ha un ergastolo per il concorso nell’omicidio sciolto nell’acido del piccolo Giuseppe Di Matteo, così come condanne per il concorso nelle due stragi, quella di Capaci e l’altra di via D’Amelio. Detto questo, oggi è una grande giornata, mi stanno chiamando da tutta Italia e non vediamo l’ora di festeggiare».
Non gioisce, però, per nulla Luciano Traina che il 19 luglio, nella strage di via D'Amelio, insieme al giudice Paolo Borsellino perse il fratello Claudio , alla notizia dell’arresto di oggi di Matteo Messina Denaro dopo 30 anni di latitanza. Non applaude, come invece ha fatto la gente per strada mentre la Primula Rossa veniva portata via in manette.
«Perché mai dovrei gioire? Perché mai dovrebbero gioire i tanti familiari delle vittime della ferocia di Riina, Provenzano e di Matteo Messina Denaro? Non possiamo esultare – tuona Luciano Traina, agente di polizia della Squadra Mobile di Palermo dall’85 al ’96, anno in cui anche lui tra coloro i quali arrestarono Brusca - innanzi all’ennesima puntata di questa soap opera che non cambierà programmazione. Vorrei tanto sbagliarmi, ce lo dirà solo il tempo, ma le avvisaglie di questo arresto c’erano già e non ce ne siamo curati. Non credo che Messina Denaro dirà mai una parola, non collaborerà mai perché, diversamente, salterebbe fuori la famosa agenda rossa, il perchè delle stragi, nomi e cognomi, e questo stravolgerebbe l’intero sistema. Solo l’arresto di Brusca suscitò polemiche, ma su tutti gli altri calò il silenzio. Così avverrà anche in questo caso».
Un'operazione, quella odierna, che fa tornare indietro nel tempo, a quando, all’arresto di Totò Riina, avvenuta il 15 gennaio del 1993, non seguì la perquisizione dell’appartamento dal quale usciva.
«Era facile, si sapeva dove si trovava l’abitazione anche perché la sia era tenuta sotto controllo per mesi - rammenta Traina -, invece niente. Quando dico che la Trattativa Stato Mafia non è mai finita, mi riferisco a quello che successe allora e che sicuramente accadrà di nuovo ora. Latitante? Per modo di dire perché si muoveva da Trapani a Palermo con molta tranquillità e io, avendo fatto l’investigatore, so bene di cosa parlo. Se veramente esistesse uno Stato democratico, si dovrebbe mettere tutto nero su bianco e fare partire perquisizioni a tappeto senza mai fermarsi. Con uno Stato veramente libero le cose sarebbero molto diverse. Mio fratello non me lo riporterà mai nessun arresto eccellente, quindi non posso esultare o gioire»...