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Lavorare nell’industria del sesso… perdìo!
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Foto: Pexels.com
Uno dei tanti tabù con cui forse dovremmo cominciare a confrontarci è il rapporto tra “sex worker”, i cosiddetti professionisti del sesso, e confessioni religiose o, in senso più lato, spiritualità. La domanda se la sono posta Daisy Matthews e Jane Pilcher, rispettivamente candidata dottoranda e professoressa associata della Nottingham Trent University, che hanno raccolto alcune significative testimonianze per la rivista online The Conversation. Perché in effetti, dopo che l’interrogativo è emerso in redazione, le domande poi le hanno poste alle interessate (in questo caso tutte donne), intervistando oltre una decina di persone con l’obiettivo di indagare come due scelte di vita apparentemente così opposte potessero coesistere e inter-connettersi.
La scoperta è stata, da un lato, che molti professionisti del sesso hanno più spesso di quanto si immagini occasione di parlare di Dio e di religione con i propri clienti; dall’altro che argomenti riguardanti la religione vengono di volta in volta usati per eccitare i clienti, o come tattica per guadagnare più denaro, o come scudo per proteggersi quando si sentono minacciate. Nel complesso quello che è emerso è che, anziché risultare incompatibili, la religione e la spiritualità creano legami unici ed esperienze dense di significato sia per il professionista che per il cliente.
Esperienze diverse, ma più comuni di quanto si possa pensare, che non vivono di un’unica dimensione legata all’esclusiva vendita di prestazioni sessuali a fronte di un compenso. Raccolgono significati molteplici che, come suggerisce la giornalista Melissa Gira Grant nel suo libro Playing the Whore: The Work of Sex Work, ci dicono che quello del professionista del sesso è un ruolo in cui competenze sociali ed empatia sono regolarmente messe in campo.
Il progetto di ricerca di dottorato non intende puntare i riflettori su un settore già troppo giudicato, ma per lo meno accendere una lucina sulla realtà della vita quotidiana dei professionisti del sesso, che purtroppo include esperienze angoscianti anche con le autorità che dovrebbero difenderli, ma regala talvolta anche esperienze positive. Le interviste sono state proposte a donne di religione cristiana, cattolica, musulmana, di paganesimo norreno o aventi più in generale una spiritualità non meglio definita. Ma cosa dicono le religioni riguardo al sesso come lavoro? Come possiamo intuire non ne hanno una grande opinione, anzi, la pratica è tendenzialmente descritta come negativa, da eradicare, immorale, sudicia, vergognosa, soprattutto se messa in atto al di fuori di un’unione consacrata.
Sappiamo di organizzazioni religiose che offrono supporto ai lavoratori di questo ambito, ma occorre una visione più profonda della relazione tra lavori sessuali e religione. Perché si sa, la vita descritta raramente coincide con quella vissuta. Lo raccontano con voci e punti di vista diversi le persone intervistate, che rifiutano la narrativa della totale condanna e testimoniano la possibilità che questi due aspetti, parimenti importanti per le loro vite pur se per ragioni diverse, coesistano in un orizzonte condiviso di significato. E talvolta anche di utilità. Per esempio nella vita di Zahra (nome di fantasia), che lavora indossando l’hijab come strategia per risultare più sexy per una determinata fetta di mercato. Ma i compromessi non sono certo soltanto all’insegna della moneta, e nelle loro mille sfaccettature si rivelano parecchio complicati. Perché necessitano di un costante e continuo lavoro di negoziazione interna che a volte, proprio come nel caso della stessa Zahra, richiede anche la negazione di fronte a determinate richieste che sfidano in modo intollerabile o esagerato i propri valori religiosi e morali – come per esempio utilizzare il Corano durante determinati giochi erotici. O come la storia della porno star Mia Khalifa, minacciata di morte per le sue scelte, ma contemporaneamente protagonista di un’impennata di visualizzazioni su Porn Hub.
E queste sono solo un paio delle tante storie emerse dalle interviste, che includono anche conversioni perché in alcune confessioni ci si sente più accettati che in altre, aumento del piacere reciproco se vissuto in un contesto accompagnato da esperienze spirituali, preghiere pronunciate silenziosamente in situazioni di disagio o pericolo… sempre alla ricerca di una dimensione all’insegna della fluidità, che meglio rispecchia il nostro essere liquidi, in continua evoluzione e cambiamento. Tutte in ogni caso portano a galla questioni molto profonde: da un lato i piccoli e grandi rischi corsi quotidianamente da queste persone, dall’altro la richiesta nell’ambito dell’industria del sesso che include anche aspetti di spiritualità.
E proprio sull’aspetto legato alla domanda dovremmo soffermarci. Se questi episodi vengono raccontati significa che, come in tutti gli altri settori del commercio, è la richiesta che alimenta anche questo tipo di industria. Quindi, più che lanciarci in qualche improvvisata fatwa da bar criminalizzando chi prova a trovare la propria strada su percorsi impervi, anche se per noi magari meno convenzionali o familiari, potremmo invece continuare a porci domande intelligenti, che non sono solo il primo passo per saper distinguere tra abusi e legalità, ridurre lo stigma che aumenta i rischi e dunque anche proteggere al meglio chi lavora in questo ambito, ma sono anche il mezzo più sano per avvicinarci, limitando il giudizio a chi come tutti cerca il modo più confortevole per instaurare un dialogo costruttivo tra le numerose identità che ciascuno di noi contiene.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.