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Il “non fare” come via di saggezza: il Tao Te Ching
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Il Daodejing – conosciuto come Tao Te Ching – è uno dei fondamenti della filosofia taoista ed è considerato l’opera “più bella e profonda del pensiero cinese”. È stato scritto – si presume – dal filosofo Lao Tzu nel VI sec. a.C ed è un brillante insegnamento sull’efficacia dell’azione umana. Propone una prospettiva nettamente opposta alla nostra sul modo di fare politica, economia e cultura. Un agire che bada prima di tutto “al ventre e non all’occhio”, che incita l’uomo a privarsi d’inutili personalismi che lo conducono ad una chiusura verso quello che davvero è, verso gli altri ed il mondo intero.
Nel 100 a.C. circa, lo storico cinese Sima Qian, ha affermato che nessuno sa e saprà nulla di preciso riguardo la stesura dell’illuminante testo. Si narra che il filosofo Lao Tzu turbato dalle condizioni del regno in cui viveva, abbia deciso di migrare. Giunto al confine fu fermato da un doganiere che gli chiese di lasciargli in dono un testo prima di andarsene. Così il padre del taoismo ne scrisse uno e, coerentemente con il suo insegnamento per cui il saggio “non dimora nell’opera compiuta, lo lasciò all’uomo senza appropriarsene
Di certo si sa che è formato da cinque mila caratteri ed è diviso in due parti. Ad oggi ne sono state tradotte innumerevoli versioni, ma paradossalmente quest’opera è considerata “intraducibile” per la difficoltà del pensiero, della lingua e dell’interpretazione diversa che noi diamo ad alcuni concetti. Per esempio Il “Dao” è tradotto come la “Via”, precisamente “la Via del cielo”. In esso però, contrariamente a quanto si possa pensare, non vi è nulla di spirituale né tanto meno di personale. È semplicemente la “Via della natura” da paragonare ad una sorta di “quietismo naturalista”. È una spontaneità naturale dove la mente non deve opporsi al soffio vitale e quindi mostrarsi rigida al mutamento, perché solo “se saprà cambiare saprà rendere anche perfetto”.
Il testo gira attorno a degli aforismi che conducono il lettore principalmente attraverso due riflessioni: l’arte del buon governo e la figura dell’uomo saggio. Mi soffermerò su quest’ultima per due ragioni: primo perché è un esempio su come mettere da parte l’esasperato egocentrismo che ha portato ai danni attuali, sia umani che ambientali. Secondo perché il suo spirito è una fonte preziosa da cui attingere una saggezza antica indispensabile per guarire i mali della modernità.
La figura del saggio taoista ci insegna a “non lottare, eppure saper vincere; a non parlare, eppure saper rispondere; a non chiamare, eppure far si che gli altri accorrano da soli”. È una personalità che “non si fa mai grande”, che “elimina gli eccessi, le stravaganze e gli estremi”. Egli è come “una grande nota che risuona raramente” e proprio perché non si farà mai grande potrà raggiungere la massima grandezza.
Alla moderna concezione del successo tramite una spiccata visibilità, Lao Tzu contrappone un’invisibile e tacita crescita. Alla frenesia contemporanea del “troppo-fare” una lentezza che lasci spazio ad un solo progetto, ma ben curato fino alla fine. Al frastuono di troppi interessi il silenzio del distacco da desideri e ambizioni. Nell’assenza di rumore potremo così sentire l’efficacia della nostra azione naturale, spoglia da ogni valore artificiale e in grado di guidarci nel “scegliere questo e scartare quello”.
In un periodo dove si cercano soluzioni per salvare la nostra umanità e il nostro pianeta dall’esasperato consumismo, Lao Tzu ci dice che se sappiamo “che abbastanza è abbastanza avremo sempre a sufficienza” (non a caso dal taoismo derivano filoni di pensiero come ad esempio l’ecologia). Alle armi, alla vittoria e alla moderna idea per cui “si scarta l’idea di essere ultimi e si vuole pure essere i primi”, l’antica saggezza cinese contrappone la calma e l’indifferenza. Nel Daodejing l’uomo è un essere semplice e la regola del mondo è una “limpida calma”. Con una mente tranquilla infatti si può domare il nostro unico nemico, la rabbia, che ci porta ad agire senza una visione chiara, privandoci dei veri risultati che vorremo ottenere. Se vogliamo raggiungere i nostri fini dobbiamo agire senza fini personali, e ammettere di essere persone deboli e molli per comprendere l’indiscutibile regola che “se vogliamo portare via qualcosa dobbiamo prima donarla”.
Il perno dell’opera – e di difficile comprensione per il pensiero occidentale – gira attorno alla predicazione del “non-agire”. Lao Tzu sostiene che se segui la Via raggiungi l’armonia – concetto tanto amato dal linguaggio cinese –. Qui l’armonia è intesa come uno stato – ancora una volta – naturale e spontaneo. È il perfetto equilibrio di un bambino che grida tutto il giorno ma la cui voce non si altera mai, di uno spirito che fa ma che alla fine “non-fa” nulla di particolare. Non è da confondere con un comportamento apatico, ma piuttosto come un invito a spogliarsi dal “troppo-fare” e lasciar fare alla natura il proprio corso. Infatti è attraverso una sorta di “occuparsi del non-occuparsi” che secondo il maestro si segue la Via. Adattando l’insegnamento ai giorni nostri si può affermare che l’uomo non deve sedersi ed aspettare, ma agire quando è il momento giusto. Per farlo però deve conoscere se stesso e per conoscersi non deve essere guidato esclusivamente da un obbiettivo personale né dimorare in ciò che ha prodotto, altrimenti perderà di vista il potenziale delle situazioni che incontrerà lungo la via– vere e proprie occasioni di mutamento –.
Il taoismo assieme al confucianesimo sono i due lati della stessa medaglia del pensiero cinese. Quando Confucio andò a chiedere alcune pillole di saggezza al maestro Lao Tzu egli in cambio gli risposte: “abbandona la tua arroganza, i tuoi molti desideri e la tua esagerata ambizione”. A noi, uomini del nuovo millennio, l’invito taoista sta nell’essere capaci di “mostrarci naturali, abbracciare la semplicità e avere pochi desideri” per iniziare a “rispettarci ma non ritenerci unici e preziosi”.