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Giovani «Così andiamo a casa degli Hikikomori per aiutare loro e i genitori»
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Foto: Unsplash.com
Nel giugno del 2020, Gruppo Abele ha lanciato il progetto Nove ¾, rivolto ai cosiddetti hikikomori, termine giapponese che indica i ragazzi che trascorrono la giornata chiusi in casa tra smartphone e computer. Il progetto si è fatto finora carico di una cinquantina di giovani, fra ragazzi e ragazze le cui famiglie non trovavano risposta alla chiusura e all’isolamento dei loro figli.
Per loro si è attivato un affiancamento a domicilio, con la possibilità di frequentare un centro laboratoriale dedicato, dove si svolgono attività individuali o in piccolo gruppo con “maestri di mestiere” a partire dagli interessi espressi dai ragazzi. Ai genitori è offerto, in parallelo, un sostegno psicologico volto ad acquisire maggiori strumenti per gestire le difficoltà dei figli. Una prima sperimentazione, in rete con il sistema scolastico e i servizi socio-sanitari, per tentare di accompagnare i ragazzi isolati dal mondo a un diverso progetto di vita.
«Il progetto Nove ¾ - racconta Milena Primavera, responsabile del servizio- è nato nel giugno 2020 per offrire sostegno ai giovani in condizione di ritiro sociale dai 15 ai 25 anni di età; ha come obiettivo principale quello di creare alternative esperienziali reali, conciliate ed equilibrate con quelle virtuali, che possano indebolire i vissuti di vergogna, inadeguatezza e incapacità rafforzando la consapevolezza dei propri interessi e delle competenze possedute, per aumentare l’autostima e la fiducia in se stessi; e come ulteriori effetti anche quelli di un ritorno graduale alla socialità e di ripresa dello studio, ripensando gli obiettivi del proprio percorso di vita».
L’esordio tra la terza media e il biennio delle superiori
«La maggioranza dei giovani da noi supportati – spiega Primavera - ha avuto l’esordio della propria fuga dal mondo tra la fine della scuola secondaria di I grado e i primi anni del II grado; altri nel passaggio tra le scuole superiori e il mondo dell’università. 35 sono i ragazzi, mentre 14 le ragazze e 1 non binario. La metà di loro sono prossimi ai 18 anni, ma ci sono anche tre giovani adulti di 30 anni».
Tendenzialmente la richiesta di aiuto viene avanzata dai genitori. «Solitamente dal momento dell’abbandono scolastico in seguito alle numerose assenze da scuola», chiarisce l’esperta. «Alcune famiglie ci contattano dopo molti mesi di ritiro sociale per tentare un ulteriore intervento oltre a quelli del servizio pubblico o di privati, o dopo una prima attesa basata sulla speranza che la condizione di ritiro possa esaurirsi spontaneamente».
«L’esigenza primaria riportata è spesso quella di trovare una soluzione alle problematiche legate alle dipendenze da internet e da dispositivi», aggiunge Primavera. «Risulta piuttosto prioritario aiutare i genitori ad affrontare il problema da una prospettiva differente, sradicando la credenza che la causa del malessere del figlio sia riconducibile alla dipendenza da internet, mostrando loro quanto quel mondo fatto anche di relazioni online possa salvaguardare da un isolamento totale più pericoloso e quanto possa permettere di cimentarsi ancora in interessi, relazioni ed emozioni condivise virtualmente». Altre richieste di contatto arrivano dai Servizi Territoriali Socio-Sanitari con i quali risulta essenziale il lavoro in rete, mettendo in campo diverse professionalità, con l’intento di migliorare la qualità della vita dell’intero nucleo famigliare...