Dossier - Hamas: storia, trasformazioni e la nuova apertura al piano di Trump

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Immagine: Unsplash.com

di Giacomo Cioni

Negli ultimi giorni una notizia inattesa ha scosso il dibattito internazionale: Hamas, l’organizzazione che da quasi vent’anni governa de facto la Striscia di Gaza ed è considerata da Israele, Stati Uniti e Unione europea un gruppo terroristico, ha comunicato di accettare alcune parti del piano di pace proposto dall’ex presidente Donald Trump. Una mossa sorprendente, che apre spiragli ma solleva anche molti interrogativi.

Secondo quanto riportano fonti internazionali, Hamas avrebbe dato un assenso condizionato alle clausole che riguardano lo scambio di ostaggi con prigionieri palestinesi, chiedendo però garanzie e modifiche sostanziali su due punti chiave: il disarmo e la struttura politica che governerà Gaza nel dopo-guerra. Israele ha accolto con freddezza la proposta, mentre Trump ha lanciato un ultimatum, intimando un’accelerazione immediata del processo. La comunità internazionale appare divisa: se da un lato Egitto, Qatar e Turchia continuano a mediare, dall’altro molti osservatori ritengono che la resistenza di Hamas a un disarmo totale rischi di bloccare tutto.

In questo momento tre ipotesi appaiono realistiche: un accordo parziale e cessate il fuoco temporaneo: scambio di ostaggi e prigionieri, ingresso di aiuti, ma senza soluzione politica stabile, uno stallo negoziale: Hamas rifiuta il disarmo, Israele rilancia la pressione militare, e il conflitto continua e un accordo fragile seguito da instabilità interna: anche se viene siglata una tregua, la frammentazione interna a Gaza potrebbe riaccendere la violenza.

Hamas, da movimento nato nelle moschee di Gaza negli anni ’80 a partito-milizia che governa 2 milioni di persone, è oggi un attore logorato ma ancora centrale. L’apertura al piano di Trump non rappresenta un cambio di rotta ideologico, ma un calcolo politico di sopravvivenza: garantire ossigeno alla popolazione e all’organizzazione stessa, senza rinunciare al suo arsenale.

La vera partita si gioca ora sul terreno delle garanzie internazionali: se i mediatori riusciranno a costruire un meccanismo credibile che contemperi sicurezza israeliana e rappresentanza palestinese, l’apertura potrà trasformarsi in un passo verso la fine della guerra. In caso contrario, Gaza rischia di restare intrappolata nell’ennesimo ciclo di tregue fragili e nuove esplosioni di violenza.

Per capire la portata di questa svolta è necessario ricostruire cos’è Hamas, come è nato e come si è trasformato negli anni, fino ad arrivare alla scelta odierna di aprire — almeno parzialmente — a un negoziato sotto l’ombrello statunitense...

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