Cosa succede quando l’importante supera l’urgente

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A Natale le proteste in Iran hanno “compiuto” circa 100 giorni. In quei giorni mi trovavo insieme ad altri commissari per portare avanti le prove orali dei patentini di bilinguismo italiano-tedesco*. Entra una candidata iraniana. Si esprime in italiano ed in tedesco, con dei passaggi in inglese di tanto in tanto. “Caspita, quattro lingue”, penso: la sua (farsi? Curdo? Quanto poco sappiamo di queste terre), l’inglese, il tedesco, l’italiano. Termina l’esame e come da rituale ringraziamo, segnaliamo quando saranno disponibili gli esiti, auguriamo una buona giornata e delle serene feste. Per noi è una giornata come le altre, e bisogna chiamare il prossimo candidato. 

La candidata però non si alza. È strano: in tanti finito l’esame scappano, è la tensione che si allenta. Lei tentenna, poi chiede di poter parlare. Opta per l’italiano. A sorpresa ci parla del suo Paese, di quello che sta succedendo, delle proteste. Non capiamo cosa possiamo fare per lei, non capiamo il motivo per cui ci racconta quelle cose in quel momento, in quella sede. Sentiamo l’importanza di ascoltarla, ma anche l’urgenza di non accumulare ritardi sugli esami. Per fortuna, almeno questa volta, l’importanza supera l’urgenza – e ascoltiamo. Chiede di non fare finta di niente, dice che per loro è importante il nostro sostegno. Piange. Cerchiamo di tranquillizzarla. Ci ringrazia. Se ne va. Chiamiamo il candidato seguente.

Non so se ci si abitua mai al dolore altrui. Un pezzettino di quel dolore io me lo sono portata via, appiccicato sulla pelle. Quella ragazza ha squarciato quel cinismo che colpisce tante persone (me inclusa) in Occidente, e che ci porta a pensare che tanto non c’è niente che serva. A che serve sapere delle proteste in Iran? A che pro firmare le mille mila petizioni online, al netto di sentirci a posto con la nostra coscienza? Dopotutto in Iran hanno anche arrestato (e poi rilasciato, per fortuna) una ragazza italiana e perfino così la maggior parte dei commenti andava nella direzione del “doveva rimanere a casa sua, così non le capitava niente”. 

Tanti pensieri, eppure la candidata ha voluto solo condividere il suo sentire con noi. Non ci ha chiesto di fare niente, concretamente: solo ricordarci di loro, di quello che sta accadendo.

Già, ma cosa sta accadendo di preciso? 100 giorni e oltre di proteste, si sa tanto ma non tutto. Si sa come tutto è iniziato. Come nelle favole dal finale brutale, c’era una volta Mahsa Amini, una ragazza di 22 anni che è stata arrestata dalla polizia religiosa perché portava l’hijab in modo sbagliato. La storia finisce con la sua morte, lo scorso 16 settembre; per la polizia ha avuto un infarto.

Da lì le proteste, che il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha recentemente classificato come “un disturbo”,chiarendo che non ci sarà misericordia “per i nemici”. Non so perché, ma lo scontro muro contro muro quando hai a che fare con numerosi giovani ed adolescenti non mi sembra la strategia migliore. HRANA, organizzazione non governativa iraniana gestita da attivisti per i diritti umani, riporta che ad oggi il governo ha ucciso oltre 500 manifestanti, tra i quali una settantina di minorenni. Sembrano solo numeri fino a quando non proviamo a immaginarceli: chi saranno questi “minorenni”? Con ogni probabilità, ragazzi simili a quelli che in tutta Europa si battono per ciò in cui credono: che si tratti di giustizia sociale, o di tutelare il pianeta - poco importa. Vi immaginate se avessimo condannato a morte Greta Thunberg quando ha iniziato a protestare? E vi immaginate, eseguire la condanna attraverso un’impiccagione pubblica?

È quello che succede in Iran: sempre secondo HRANA sono numerose le notizie delle condanne a morte eseguite in maniera più o meno nascosta. Due esecuzioni spiccano perché sono state pubbliche. Si tratta di due ragazzi, Majid-Reza Rahnavard e Mohsen Shekari, accusati di inimicizia verso Dio e processati in maniera sommaria.  

Stando ai media, la pena di morte viene usata come strumento per sedare e prevenire le rivolte: tanto che gli aggiornamenti dall’Iran sul sito di Amnesty International sono aumentati esponenzialmente, e dicono tutti le stesse cose: arresti, torture, esecuzioni. 

Vari personaggi famosi si sono esposti, come l’attrice Taraneh Alidoosti: è stata arrestata e non si sa dove sia. Stessa sorte anche per il calciatore Voria Ghafouri. E poi la scalatrice Elnaz Rekabi, che ha gareggiato senza hijab ai campionati asiatici della Federazione internazionale di arrampicata sportiva. Le giocatrici di scacchi Sara Khadim al-Sharia (attuale campionessa) e Atousa Pourkashiyan, che hanno appena gareggiato ai campionati mondiali in Kazakistan senza velo. Se nemmeno la fama e la celebrità possono proteggere, cosa potrà mai accadere alle persone comuni? Cosa c’è dietro le parole arresti, torture, esecuzioni? 

Alcune inchieste di riviste e quotidiani anglofoni stanno portando alla luce notizie inquietanti. Due in particolari le più rilevanti: la prima del Guardian, la seconda del New York Times. Il Guardian ha pubblicato un servizio sui medici che di nascosto curano i manifestanti feriti. A quanto pare le forze governative differenziano le strategie quando si tratta di uomini e donne. Agli uomini sparano alle gambe, ai glutei, nella schiena. Alle donne invece sparano in faccia, ai seni, ed ai genitali. Anche sparare negli occhi è abbastanza comune, ed è una pratica trasversale utilizzata con uomini, donne, e bambini. Suona familiare? Lo è. Sparare negli occhi è stata una prassi utilizzata anche dai carabinieri cileni durante le manifestazioni del 2019. Mica il secolo scorso: tre anni fa. E oggi, anno domini 2022. 

Tornando all’Iran, ovviamente il regime sta anche cercando i medici che aiutano i manifestanti: è di pochi giorni fa la notizia della morte di Aida Rostami, una di loro. Per la polizia la dottoressa è deceduta in un incidente; il corpo restituito alla famiglia però racconta un’altra storia. Il New York Times invece ha pubblicato un servizio che si concentra sugli stupri e le violenze sessuali che soffrono le manifestanti per mano dei militari. Il tutto è venuto alla luce con la scoperta delle ferite sul corpo di una ragazzina di 14 anni – infatti per la vergogna quasi nessuna vittima ne parla e su questo fa affidamento il sistema repressivo. 

Se la pena di morte viene usata come strumento per prevenire le rivolte, lo stupro invece viene usato come strumento per prevenire il degrado morale. Ironia amara. 

Eppure, nonostante tutto, le proteste non si fermano. 

Cerchiamo di non dimenticare.

 I patentini di bilinguismo italiano-tedesco sono certificazioni linguistiche obbligatorie se si vuole partecipare ad un concorso per lavorare nella pubblica amministrazione in Alto Adige; sono inoltre sempre più riconosciuti anche dalle aziende private.

Novella Benedetti

Giornalista pubblicista; appassionata di lingue e linguistica; attualmente dottoranda in traduzione, genere, e studi culturali presso UVic-UCC. Lavora come consulente linguistica collaborando con varie realtà del pubblico e del privato (corsi classici, percorsi di coaching linguistico, valutazioni di livello) e nel tempo libero ha creato Yoga Hub Trento – una piattaforma che riunisce varie professionalità legate al benessere personale. È insegnante certificata di yoga.

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