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Migranti con disabilità: quando la discriminazione è doppia
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Forse qualcuno ricorda ancora la storia di Cristian Ramos, ragazzo con sindrome di Down, nato in Italia da madre colombiana. Nel 2013, diventato maggiorenne, aveva cominciato la trafila per poter diventare cittadino italiano, come sancito dalla legge n. 91/92. Ad un certo punto, però, la prefettura aveva deciso che Cristian, a causa della sua disabilità, non era in grado di prestare il giuramento, necessario per l’acquisizione del tanto agognato status. La vicenda, che allora aveva fatto molto scalpore, per fortuna si è conclusa con un lieto fine ma aveva contemporaneamente messo in luce le enormi lacune – politiche, normative e non solo – su un tema in buona parte sconosciuto eppure cruciale dei nostri tempi: quello dei migranti disabili che vivono nel nostro paese. “Una doppia condizione e il rischio di una doppia discriminazione per un fenomeno ancora sommerso che sfugge alle statistiche, alle istituzioni e spesso anche alle organizzazioni della società civile” afferma la Federazione italiana per il superamento dell’handicap (Fish), che la settimana scorsa ha presentato a Roma i risultati della sua prima ricerca dedicata all’argomento e intitolata “Migranti con disabilità: conoscere il fenomeno per tutelare i diritti”, in collaborazione con le associazioni Villa Pallavicini e Nessun luogo è Lontano.
Lo scopo: tracciare i contorni del fenomeno, metterne in luce dimensioni e caratteristiche, individuare le competenze e gli obblighi delle diverse istituzioni coinvolte, e infine fornire alle associazioni territoriali linee guida e indicazioni utili alla funzione di tutela e rappresentanza dei diritti, quelli sanciti anche dalla Convenzione Onu sulle persone con disabilità. Un compito, però, più facile a dirsi che a farsi: “Immigrazione e disabilità sono sempre stati studiati separatamente – spiega lo studioso Giovanni Merlo, che si è occupato soprattutto del filone normativo della ricerca – Parliamo poi di persone che vivono la loro condizione sempre più privatamente, sono in pratica invisibili”. Il risultato è che di numeri precisi ancora non ce ne sono. “Non sappiamo quanti sono – continua Merlo – ma questo report funge da punto di partenza per altre ricerche future già pianificate, e ci ha permesso intanto di far uscire fuori il problema e di raccogliere delle informazioni importanti”.
Come riuscire ad orientarsi nella giungla degli status: l’accesso ad un diritto, infatti, comporta l’acquisizione e il riconoscimento di un status, ma nel caso dei migranti con disabilità la difficoltà si raddoppia e si complica “talvolta in modo irresolubile e sempre con costi umani rilevanti”. Le procedure, poi, sono farraginose e di non semplice comunicazione. Il settore del lavoro ne è un esempio: "Il permesso di soggiorno è legato al reddito ma le persone con disabilità hanno più difficoltà ad accedere al mondo del lavoro” spiega ancora Merlo, che sottolinea come, per quanto riguarda le salute, il quadro si faccia ancora più fosco: “Impossibile, a seconda dello status, accedere alle cure specialistiche, e gli stranieri raramente fanno ricorso in caso di mancati diritti e prestazioni. Ecco un’altra silenziosa violazione dei diritti umani”.
L’unica oasi, in questo senso, è costituita dalla scuola, la cui iscrizione non è vincolata a nessun requisito. Si riscontra, però, la quasi totale assenza di piani individualizzati tradotti, mentre i metodi sembrano tutti standardizzati e indirizzati ai bambini occidentali. Eppure il fenomeno, nonostante i numeri siano ancora da prendere con le pinze, è tutt’altro che marginale. Secondo i dati dell’Istat, gli stranieri residenti in Italia al 1° gennaio 2015 sono 5 milioni 73 mila, pari all’8,3% della popolazione residente totale, con un incremento di 151 mila unità rispetto all’anno precedente. Secondo i dati del MIUR, nell’anno scolastico 2013-2014 gli alunni stranieri delle scuole italiane, statali e non statali, di ogni ordine e grado sono 802.785, pari al 9% del totale. Di questi 26.626 sono alunni stranieri con disabilità, ovvero il 3,3 per cento del totale degli studenti.
“Non bisogna poi sottovalutare la frequente possibilità di diagnosi sbagliate che rischiano di patologizzare e sanitarizzare dei problemi che sanitari non sono, ma che sono invece legati a difficoltà linguistiche e culturali” spiega Matteo Schianchi, che nello studio si è occupato dell’aspetto qualitativo del fenomeno attraverso interviste e focus group. “Abbiamo riscontrato una difficoltà di queste persone a raccontare di sé – commenta a questo proposito – Qualcuno ha voluto rimanere anonimo. C’è paura di arretrare, di perdere qualcosa”. La scuola, in ogni caso, resta il luogo prediletto per cominciare un percorso virtuoso, in cui coinvolgere non solo i bambini ma anche le loro famiglie, che la vedono come un canale di riferimento. Anche alcune associazioni, come l’AIPD (Associazione Italiana Persone Down) rappresentata al convegno da Patrizia Danesi, o il Forum del Terzo Settore, si stanno già muovendo “per offrire un’accoglienza che sia competente ma anche rispettosa di queste persone e delle loro storie”.
“Il loro problema è che spesso non stanno né con gli italiani, dai quali sono percepiti come un fardello, né nei circuiti classici dell’immigrazione, ovvero nelle cosiddette comunità. La loro è una permanenza in equilibrio su una gamba sola” spiega ancora Schianchi, che sottolinea come spesso gli immigrati, quando arrivano in Italia, puntino prima al riconoscimento dello status di invalidità che a quello di cittadino. "Non si sentono parte di questa nazione, e in molti di loro si sommano diversi handicap: straniero, disabile, ma anche disoccupato o donna – continua Schianchi – Queste variabili aumentano le forme di discriminazioni. E' indubbio che la nostra società non riesce quasi mai a valorizzare il loro capitale sociale e umano”.
Se per don Pierpaolo Felicolo, direttore dell'ufficio Fondazione Migrantes di Roma e del Lazio, "il primo passo è farli uscire dalla solitudine, creare una rete di supporto intorno a loro”, la deputata del Partito Democratico Paola Binetti, intervenuta anche lei all’incontro, mette sul tavolo l’impegno a presentare una mozione in Parlamento sui bambini che vivono questa doppia condizione. "Vogliamo iniziare a lavorarci prima dell'inizio delle vacanze estive – ha detto –. Non escludiamo di inserirlo anche nel disegno di legge sul dopo di noi e sull'autismo".
Anna Toro

Laureata in filosofia e giornalista professionista dal 2008, divide attualmente le sue attività giornalistiche tra Unimondo (con cui collabora dal 2012) e la redazione di Osservatorio Iraq, dove si occupa di Afghanistan, Golfo, musica e Med Generation. In passato ha lavorato per diverse testate locali nella sua Sardegna, occupandosi di cronaca, con una pausa di un anno a Londra dove ha conseguito un diploma postlaurea, sempre in giornalismo. Nel 2010 si trasferisce definitivamente a Roma, città che adora, pur col suo caos e le sue contraddizioni. Proprio dalla Capitale trae la maggior parte degli spunti per i suoi articoli su Unimondo, principalmente su tematiche sociali, ambientali e di genere.