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Storia
La Bielorussia , il cui nome compare storicamente nel sec. XIII, fu colonizzata tra i sec. V e VIII da tribù slave, cadde sotto il dominio del Principato di Kijev intorno al sec. IX e alla fine del sec. XIV, dopo aver subìto l'invasione mongola ed essere passata ai duchi di Lituania, per il matrimonio di un granduca di Lituania con Edvige regina di Polonia (1386), entrò a far parte della Polonia.
La sua storia rimase legata a quella polacca fino al primo dopoguerra, quando il suo territorio fu diviso tra Polonia e Unione Sovietica (Trattato di Riga, 1921). Invasa dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale, al termine del conflitto anche la parte polacca entrò a far parte della Repubblica Sovietica della Bielorussia. Per il quarantennio successivo la Bielorussia non ha avuto una vita politica propria – nonostante la vasta autonomia formale, comprendente anche un seggio all'ONU – e i suoi uomini politici hanno partecipato delle vicende generali dell'URSS.
Direttamente coinvolta nel processo di dissolvimento dell'Unione Sovietica, la Bielorussia proclamava la sua sovranità nel 1991, ma entrava a far parte alla costituzione della Comunità di Stati Indipendenti (CSI) rimanendone membro. Uno dei problemi maggiori cui il nuovo Stato doveva fare fronte, oltre a quello ciclopico di una radicale riconversione economica, era la gestione di un notevole potenziale atomico militare accumulato nel periodo sovietico. Il problema veniva risolto con un accordo di attuazione del Trattato START (Lisbona, maggio 1992) in cui Bielorussia, Ucraina e Kazakistan rinunciavano allo status di potenze nucleari e trasferivano in Russia il proprio arsenale. Intanto lo scenario politico belorusso delineava al suo interno una forte contrapposizione fra un'élite liberale nazionalista e i fautori di uno stretto legame economico e politico con la Russia, considerata dalla maggior parte della popolazione come un'estensione della propria patria.
Varata la nuova Costituzione nel 1994, le successive elezioni presidenziali (estate 1994) determinavano la vittoria di A. Lukašènka, candidato populista di una sorta di movimento “mani pulite” e già presidente di una commissione parlamentare contro la corruzione. Questi, favorevole a un rapporto privilegiato con la Russia, avviava subito un processo di integrazione con quel Paese, che si sostanziava nell'accordo doganale (maggio 1995) e nell'intesa ad azzerare i reciproci debiti.
Per quanto riguarda la politica interna, nonostante la dura opposizione del movimento nazionalista e le resistenze dei comunisti, veniva indetto, in concomitanza con le elezioni legislative del maggio 1995, un referendum per emendare la Costituzione e per prolungare il mandato di Lukašènka fino al 2001. Ottenuto l'80% dei consensi, gli emendamenti alla carta fondamentale quindi ampliavano il potere del presidente della Repubblica e trasformavano il Parlamento in un organo bicamerale. Proseguita la politica di integrazione con la Russia, con la firma del Trattato di Unione (maggio 1996), riprendevano le proteste dell'opposizione nazionalista a cui facevano seguito la chiusura di alcuni organi di stampa e una forte repressione da parte del governo degli intellettuali ostili al regime di Lukašènka. In ragione di ciò nel 1998 l'OSCE istituiva una missione permanente a Minsk, per valutare l'entità delle violazioni dei diritti umani e politici nel Paese. Sul piano economico, intanto, la difesa da parte del governo delle vecchie strutture “socialiste” del Paese, necessaria per garantire il mantenimento di un livello di vita sufficiente alla maggior parte della popolazione (e dunque anche un buon consenso elettorale), determinava il perdurare di un periodo di stagnazione, che solo grazie al sostegno della Russia non degenerava in crisi catastrofica e anzi, a partire dal 2001, vedeva l'avvio di una nuova crescita. L'opposizione dal canto suo, nonostante i tentativi nel 1999 per delegittimare il prolungamento del mandato di Lukašènka, le continue proteste e l'aperto appoggio dei governi occidentali (soprattutto degli Stati Uniti), non riusciva a ottenere alcun risultato in quanto fragile, divisa e poco credibile agli occhi dei belorussi. Le oggettive difficoltà del regime, quindi, non impedivano che le elezioni presidenziali del 2001 riconfermassero con l'80% dei consensi il mandato a Lukašènka.
Nel 2004 si sono svolte sia le elezioni legislative, vinte dal partito del presidente, sia un referendum che prevedeva l'abolizione del limite dei due mandati presidenziali, con l'obiettivo di permettere a Lukašènka una terza rielezione. L'esito, scontato, è stato favorevole al presidente. Nel frattempo, nonostante l'opinione nettamente favorevole dell'opinione pubblica di entrambi i Paesi, verificata in molti sondaggi, il processo di integrazione con la Russia avanzava con molta lentezza e continue frenate da entrambe le parti.
L'adozione di una moneta unica, prevista dal 2001, è stata rinviata al 2006; e pochi progressi hanno fatto i negoziati per stabilire il peso reciproco delle due parti (e dei rispettivi dirigenti) nel futuro Stato unitario, nonostante una bozza di Statuto sia stata messa a punto nel 2003. Nelle elezioni presidenziali del marzo 2006 Lukašènka otteneva l'82,6% dei voti, anche se l'Osce contestava le elezioni e l'opposizione denunciava brogli. In quello stesso anno gas e petrolio erano stati la causa di forti tensioni con la Russia, mentre in politica interna continuavano a essere duramente represse le proteste degli oppositori del regime. Nel settembre del 2008 si svolgevano le elezioni per il rinnovo del parlamento, nelle quali i candidati fiolo-governativi vincevano in tutte le circoscrizioni. In seguito l'Osce dichiarava che le elezioni non si sarebbero svolte secondo gli standard democratici internazionali.