Aspetti economici

L'Indonesia è uno degli Stati potenzialmente più ricchi del mondo, grazie alla vastità delle risorse minerarie, specie di quelle energetiche, alla fertilità dei suoli, al rilevantissimo patrimonio forestale, all'ampia disponibilità di una popolazione attiva e intraprendente. Il Paese rimane tuttavia in uno stato di estrema arretratezza, né riesce a darsi una struttura economica in qualche modo equilibrata.

 

Profilo generale. Le condizioni di fondo sono il globale sottosviluppo dell'apparato produttivo, il prevalere di interessi economici stranieri, la presenza di problemi sociali insoluti di enorme gravità: per esempio, attualmente, un terzo della popolazione urbana vive nelle bidonvilles in condizioni assolutamente insostenibili. A oltre quarant'anni dal conseguimento dell'indipendenza, l'economia indonesiana risente ancora, almeno indirettamente, delle conseguenze del lungo dominio coloniale, che fu in gran parte un regime di autentica rapina: gli Olandesi, per esempio, non consentirono l'installazione nemmeno di rudimentali industrie, per non creare concorrenze con le attività manifatturiere della madrepatria. Si aggiunsero, inoltre, le rovine causate dall'occupazione giapponese durante la seconda guerra mondiale e la successiva, non meno sanguinosa, guerriglia contro i Paesi Bassi. Reazione abbastanza comprensibile a un regime coloniale che era stato fortemente vessatorio, il nuovo governo indipendente si lanciò in un primo tentativo di ristrutturare interamente l'economia su basi nazionali, in chiave nettamente socialista. Il programma prese avvio nel 1956, quando fu attuata la riforma fondiaria, assegnando ai contadini buona parte dei terreni espropriati agli Olandesi, e fu varato il primo piano quinquennale che mirava a sviluppare soprattutto quell'industria di base di cui il paese era totalmente sprovvisto. Tale programma ebbe i suoi punti più qualificanti nella nazionalizzazione delle piantagioni, tutte precedentemente in mano a stranieri, delle banche, del settore estrattivo, nonché dei pochi impianti industriali nel frattempo sorti. Gli intenti erano forse eccessivamente ambiziosi e comunque si rivelarono del tutto irrealizzabili per mancanza di capitali, di attrezzature, di quadri tecnici, ma ancor più per le violente ritorsioni estere in risposta alle confische e alle nazionalizzazioni. Con la salita al potere dei militari di Suharto, la politica economica indonesiana subì una svolta radicale. Abbandonati i principi dell'"Indonesia agli Indonesiani", il nuovo governo tornò a rivolgersi al grande capitale straniero, soprattutto al Giappone e agli Stati Uniti; inoltre restituì agli antichi proprietari gran parte delle industrie già nazionalizzate, concedendo alle multinazionali vantaggiosi diritti di sfruttamento minerario, ricorrendo nel contempo a organizzazioni internazionali come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale per massicci finanziamenti. L'aiuto dell'estero è stato dunque determinante per uscir e dalla situazione di globale dissesto, ma ha provocato anche condizionamenti estremamente gravosi. La crisi finanziaria asiatica del 1997-98, il crollo della rupia e il conseguente aumento dei prezzi hanno scatenato vaste manifestazioni di protesta, con saccheggi e violenze.

 

Potenzialità, squilibri e carenze. A partire dal 1973-74 il vertiginoso aumento dei prezzi del petrolio (di cui l'Indonesia è un buon produttore) ha ridotto le necessità del ricorso al capitale estero, ma non certo la dipendenza del Paese dagli interessi delle multinazionali. Inoltre il petrolio, che rappresenta la maggiore fonte di valuta e cui presiede un ente di Stato, la PERTAMINA, non può certo rafforzare le fragili strutture economiche dell'Indonesia, in quanto i piani di sviluppo seguono pressappoco uno schema iper-liberistico, tendono cioè a una rapida accumulazione di capitale, all'esaltazione del ruolo dell'immediato profitto e a una politica di ridistribuzione dei redditi del tutto marginale. La maggiore ricchezza non si è tradotta, pertanto, in adeguati provvedimenti miranti a favorire lo sviluppo economico nazionale e quindi a ridurre le diseguaglianze sociali, sicché rimangono irrisolti tutti i problemi di base. Numerosi sono i disoccupati o i sottoccupati. Un ulteriore gravissimo elemento è l'eccessiva crescita e concentrazione della popolazione nell'isola di Giava. Questo fenomeno è dovuto al fatto che a Giava si trova la maggior parte delle industrie e delle piantagioni industriali. Inoltre il livello di produttività agricola continua a essere molto basso a causa soprattutto delle arcaiche forme di sfruttamento dei suoli; in particolare è insufficiente la produzione alimentare, sicché l'Indonesia è costretta a importare varie derrate, tra le quali è essenziale il riso. Manca tuttora un'industria di base: basti dire che, con tutto il suo petrolio, l'Indonesia non ha nemmeno un'adeguata industria petrolchimica, così da dover importare gran parte dei prodotti petroliferi di cui necessita. Estreme carenze presenta nel suo insieme il settore manifatturiero, che svolge un ruolo tuttora modestissimo nel quadro produttivo del Paese. Causa prima della persistente arretratezza del Paese è che l'industria è in larga misura al servizio non delle necessità locali, ma degli interessi delle società straniere, soprattutto giapponesi e statunitensi, le quali possono contare, oltre che su un bassissimo costo del lavoro e sulla vicinanza delle materie prime e delle fonti energetiche, su ampie agevolazioni fiscali da parte dello Stato. Così oggi l'Indonesia, pur possedendo i mezzi e le risorse per attuare un rapido decollo, è tuttora attestata a un livello di marcato sottosviluppo.

 

Agricoltura: colture alimentari. L'agricoltura rimane la base dell'econ omia indonesiana. Le colture alimentari sono quelle che hanno registrato i più significativi incrementi ed esistono piani di sviluppo agricolo tendenti a rendere coltivabili terreni situati nelle isole meno densamente abitate. Le colture industriali, invece, hanno perso alcuni dei loro precedenti primati. Principale coltura è il riso, elemento fondamentale dell'alimentazione locale; su complessivi 30 milioni di ha di coltivo, pari al 16% della superficie territoriale, oltre 11 milioni di ha sono destinati alla risicoltura, collocando l'Indonesia al terzo posto nella graduatoria mondiale dopo la Cina e l'India. Si hanno anche due raccolti l'anno; i più alti valori di produttività si registrano a Giava, che si avvantaggia di terreni adatti e di una fittissima rete di canalizzazioni ereditata dagli Olandesi. La risicoltura è altresì presente in vaste aree di Sumatra e del Kalimantan (Borneo), nonché in varie isole minori; la meccanizzazione agricola è tuttavia ancora a un livello assai basso. Manioca, patate dolci, mais, quindi vari ortaggi (pomodori, cipolle) e frutta (soprattutto banane, agrumi e ananas) completano il quadro delle principali colture alimentari. Vasta è la gamma delle piante oleaginose, come la soia, l'arachide, la palma da olio, seguite dal sesamo e dal ricino; si tratta però di produzioni artigianali, attuate nei piccoli poderi che attorniano i villaggi.

 

Colture industriali. L'agricoltura di piantagione, introdotta dagli Olandesi, rappresenta ancora un buon cespite per le entrate dello Stato. Il principale prodotto agricolo di esportazione è il caffè (l'Indonesia ne è il maggior fornitore asiatico e si pone ai primi posti nella graduatoria mondiale), che proviene in larga misura dalla sezione orientale di Giava. Quest'isola fornisce anche la quasi totalità della canna da zucchero, da cui si ricava zucchero raffinato destinato in gran parte al consumo interno; in passato costituiva una delle principali voci dell' esportazione. Altri due importanti prodotti sono il tè, che proviene pressoché esclusivamente dalle piantagioni della zona occidentale di Giava, e il tabacco, che è tra i migliori del mondo (particolarmente adatto per la fabbricazione dei sigari) e le cui più quotate piantagioni sono ubicate a Sumatra e a Giava. Diffusa un po' ovunque in tutto l'arcipelago è la palma da cocco, da cui gli isolani traggono una gran quantità di prodotti per il consumo locale oltre alla copra, che è in parte anche esportata; le migliori produzioni di copra, ottenute in genere da piccoli coltivatori riuniti in cooperative, provengono da Celebes (Sulawesi), da alcune aree costiere del Kalimantan e dalla sezione occidentale di Giava. Non hanno invece più l'importanza di un tempo le spezie (pepe, noce moscata, cannella), per le quali erano famose le Molucche, e del pari in declino è la coltivazione della Cinchona, l'albero della china, per la caduta della domanda di chinino sul mercato mondiale. Un ruolo modesto hanno infine le piante tessili (kenaf, cotone, agave sisalana).

 

Foreste. Molto ingente è il patrimonio forestale, che interessa quasi il 60% della superficie territoriale e che nella maggior parte delle isole, specie nel Kalimantan, forma un ammanto pressoché ininterrotto (la produzione di legname è elevatissima); vi si trovano essenze pregiate come il teak, l'ebano, il mogano, il sandalo, inoltre alberi da cui estrarre tinture e resina, alberi per legname da opera, bambù e soprattutto l'Hevea, le cui piantagioni furono sviluppate in periodo coloniale. L'Indonesia detenne a lungo il primato mondiale per l'estrazione del caucciù dall'Hevea ; oggi è preceduta dalla Thailandia, ma ha tuttora una produzione rilevante; le grandi piantagioni sono localizzate soprattutto nel Kalimantan e a Sumatra, ma il caucciù è ormai prodotto anche nelle aree ristrette di proprietà di piccoli coltivatori. Lo sfruttamento forestale è in genere limitato dalla carenza delle infrastrutture e specialmente di adeguate vie di comunicazione; è del pari nettamente carente l'industria nazionale della carta, della cellulosa e dei prodotti derivati.

 

Allevamento. L'allevamento è poco sviluppato; d'altronde esigui sono gli spazi adatti in questo Paese così boscoso dove tutti i terreni utilizzabili sono coltivati. Prevalgono caprini e ovini, e ancor più i volatili da cortile; i bovini sono presenti soprattutto a Giava e a Madura; gli ancor più scarsi suini provengono per lo più da Bali, dove la popolazione non musulmana pratica ta le allevamento; infine per i lavori nelle risaie sono utilizzati i bufali. Un consistente contributo al fabbisogno proteico è però fornito dalla pesca, nonostante sia in genere praticata con sistemi molto antiquati. La pesca viene praticata non solo nelle zone costiere, ma anche nelle acque interne, specie a Giava, dove è fiorente l'allevamento delle carpe. In particolare consistente è la cattura di tonni al largo di Celebes, Giava e Sumatra; molto diffusa è anche la pesca del trepang.

 

Risorseminerarie . Le risorse minerarie sono cospicue, ma non adeguatamente valorizzate; vastissime zone non sono ancora state sottoposte ad accurate prospezioni. Particolarmente importanti per l 'economia indonesiana sono i giacimenti di petrolio (l'Indonesia è il maggior produttore petrolifero dell'Estremo Oriente, sebbene sia entrato in crisi nel 1982 per il calo dei prezzi e la diminuzione della richiesta), in particolare dal Kalimantan e da Sumatra, mentre meno ricchi sono i pozzi di Giava; è presente anche gas naturale, specie a Sumatra. Solo in piccola parte però l'estrazione è direttamente effettuata dalla PERTAMINA; la Shell e altre società straniere hanno in realtà in mano lo strumento petrolifero, pur rimanendo alla PERTAMINA il potere decisionale sulle prospezioni e sulle concessioni di sfruttamento. L'Indonesia occupa una posizione di grande rilievo anche per lo stagno (secondo produttore dopo la Cina), presente nelle isole Riau, Singkep, Bangka e Belitung in giacimenti che si possono considerare la prosecuzione di quelli, ricchissimi, malesi. Dall'isola di Bintan, nel gruppo delle Riau, proviene anche la maggior parte della bauxite, la cui estrazione è peraltro effettuata per conto prevalentemente di società giapponesi. L'Indonesia è altresì il massimo produttore asiatico di nichel; questo minerale si estrae nell'isola di Celebes, soprattutto per conto di società giapponesi. Carbone, presente a Sumatra e nel Kalimantan, rame, diamanti, oro, argento, manganese, fosfati, sale e anche uranio (estratto nel Borneo) completano il panorama del settore minerario. Nonostante le risorse petrolifere e l'immenso potenziale idrico, del tutto deficitario è il settore energetico.

 

Problemi dell'industria. La carenza di energia rende più difficile la creazione di una moderna e potente industria, che pure sarebbe oltremodo avvantaggiata dalle molteplici risorse naturali di cui l'Indonesia dispone. Tuttavia, la causa prima del mancato sviluppo industriale è rappresentata dalla debolezza della classe imprenditoriale privata: l'industria è in genere rappresentata, almeno per i complessi di maggior rilievo, dalle multinazionali e dalle società estere, in alcuni casi con partecipazione indonesiana, oppure statali ma dipendenti in tutto dalla tecnologia straniera. Inoltre quasi tutto il potenziale industriale indonesiano è concentrato a Giava e in modesta misura a Sumatra, sicché il settore richiederebbe, oltre a un globale potenziamento, una più equa ripartizione nel territorio nazionale, per dare stimolo alle altre regioni del Paese. Prevale nettamente per importanza l'attività estrattiva, rivolta essenzialmente all'esportazione: mancano, infatti, le aziende di trasformazione, salvo le raffinerie di petrolio, che sono ormai abbastanza numerose anche se non sviluppate quanto la disponibilità di materia prima consentirebbe.

 

Settori industriali. L'industria siderurgica e metallurgica comprende solo un laminatoio presso Jakarta, un complesso per la produzione di alluminio a Kaulatanjung (Sumatra), alcune fonderie di stagno e di rame; non meno modesto è il settore meccanico (piccoli cantieri navali a Jakarta, Surabaya, stabilimenti per il montaggio di autoveicoli, di apparecchi radio e televisori per conto dei Giapponesi). L'industria manifatturiera destinata al consumo interno è tuttora largamente organizzata su basi artigianali; un certo rilievo hanno il settore tessile, specificamente cotoniero (la materia prima è però importata), presente con numerosi stabilimenti, e quello alimentare, che annovera zuccherifici, oleifici, birrifici, riserie, impianti per la lavorazione del tè e del caffè, nonché manifatture di tabacchi. Un certo rilievo ha l'industria chimica dei fertilizzanti e quella cementiera; esistono inoltre piccole fabbriche di pneumatici e anche una cartiera. Infine sussistono, benché in genere piuttosto decadute rispetto al passato, produzioni artigianali, come quella delle ceramiche di Palembang, la lavorazione dei tessuti batik, la fabbricazione di cappelli di bambù.

 

Comunicazioni interne. Data la particolare struttura geografica dell'Indonesia, la realizzazione di un razionale sistema di trasporti costituisce uno dei problemi più gravi per lo Stato. Il mare è sempre stato per l'Indonesia la naturale via di collegamento; al confronto di quelli marittimi, i traffici interni hanno avuto scarso rilie vo: non a caso l'urbanesimo si è sviluppato attorno ai porti destinati ai grandi traffici internazionali. Solo dopo il 1967 col nuovo governo furono presi provvedimenti per il potenziamento di strade, ferrovie, attrezzature portuali, e così via; ma la si tuazione, eccetto che a Giava, è tuttora nettamente deficitaria. Del tutto irrisorio è lo sviluppo delle ferrovie (6.600 km), presenti solo a Giava (dove due linee ferroviarie, costruite dagli Olandesi, attraversano longitudinalmente l'isola, collegando le principali città), nell'isoletta di Madura e, con piccoli tronchi, a Sumatra. Più sviluppata è la rete stradale esistente però soprattutto a Giava e limitata alle sole strade di collegamento dei centri portuali a Sumatra, Celebes, Timor: di circa 393. 000 km di strade solo 179.000 sono asfaltati; sulle altre isole le vie di comunicazione sono rappresentate in gran parte da sentieri nella foresta o da corsi d'acqua; d'altronde modestissima è la motorizzazione.

 

Traffico marittimo e aereo. Date le difficoltà e l'insufficienza dei mezzi di trasporto interni, mantengono tutta la loro importanza i collegamenti marittimi; operano attivamente sia la PELNI (Pelajaran Nasional Indonesia), la compagnia marittima di Stato, sia altre società private; ma per il piccolo cabotaggio e le comunicazioni fra le varie isole ci si avvale ancora largamente dei praho , le tipiche imbarcazioni malesi in uso sin da epoca assai antica. Punti nodali del traffico internazionale sono i porti di Tanjung Priok, presso Jakarta, di Tanjung Perek, presso Surabaya, e di Semarang, tutti su Giava, seguiti da quelli di Padang (Sumatra) e Ujung Pandang (Celebes); molto attivo è il porto petrolifero di Dumai, sulla costa settentrionale di Sumatra. Sempre più largo è tuttavia il ricorso ai servizi aerei, svolti da numerose compagnie straniere, dalla società di bandiera GIA (Garuda Indonesian Airways) e da alcune minori compagnie private indonesiane; i principali aeroporti sono quelli della capitale (Sukarno-Hatta,Cengkareng), di Surabaya, Semarang, Palembang, Ujung Pandang, Medan e Bali (Denpasar).

 

Commercio. Il commercio interno, un tempo nelle mani dei Cinesi, pur risentendo della mancanza di una dinamica classe mercantile, è comunque abbastanza vivace: in pratica si irradia da Giava verso le altre isole. Quanto agli scambi internazionali, da tempo la bilancia commerciale registra dei saldi attivi, grazie soprattutto al petrolio, al gas naturale, a vari prodotti forestali e agricoli (legname, caucciù, caffè, tè, spezie) e ai minerali, soprattutto di stagno. Le importazioni riguardano essenzialmente macchinari, impianti, mezzi di trasporto, prodotti chimici, taluni prodotti petroliferi, nonché generi alimentari, specie il riso. L'interscambio si svolge per lo più con il Giappone, seguito dagli Stati Uniti; un certo ruolo ha anche, per le esportazioni, Singapore. Notevole l'apporto del turismo, che interessa soprattutto Bali; tuttavia l'Indonesia ha un immenso patrimonio paesaggistico, artistico e folcloristico che si potrebbe valorizzare adeguatamente.