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10 uomini sulla cassa del morto
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Per due settimane l’Italia avrà un governo tecnico al quadrato con Giorgio Napolitano come Primo ministro che contemporaneamente resta Presidente della repubblica. Il governo “ufficiale”, dimissionario ma non sfiduciato dal precedente Parlamento, rimane quello di Mario Monti che nel frattempo ha perso (senza rimpianti) un pezzo importante come il Ministro degli esteri. Grillo vorrebbe che l’Italia restasse senza governo, tanto non cambia nulla e basterebbero i lavori delle Camere per guidare il paese. E portarlo dove? All’isola del tesoro o all’isola che non c’è? Intanto sul veliero non ci sono “15 uomini sulla cassa del morto”, ma 10 “saggi” – che di saggio hanno poco, visto che la metà sono espressione diretta dei partiti – rappresentanti una sorta di direttorio non ben identificato, comunque inesistente nella nostra Costituzione (la “più bella del mondo” secondo la Presidente della Camera che a sua volta ha ripreso la definizione di Benigni). Un salto nel buio, nella confusione e nella ingovernabilità. I più benevoli dicono che Napolitano abbia voluto prendere tempo, rassicurare l’Europa e i mercati, rasserenare il clima per arrivare alla formazione di una maggioranza ampia composta sicuramente da PD e PDL. La soluzione alternativa sarebbe soltanto un disastroso ritorno alle urne. Il distruttivismo fascistoide di Grillo, l’impresentabilità di Berlusconi e accoliti, le divisioni interne in PD e Scelta civica – le uniche forze politiche che conservano un po’ di responsabilità – rendono la notte della Repubblica ancora più tenebrosa. Davvero non si sa che cosa potrà ancora accadere.
Cosa possono fare i vari operatori del terzo settore, il mondo del volontariato e in generale le realtà come Unimondo? Probabilmente nulla se non continuare a lavorare come se niente fosse. Businnes as usual. Il problema è che, tranne sparuti parlamentari eletti qua e là, nessuno può rappresentare appieno le istanze di futuro che vertono sui temi della globalizzazione, dell’ambiente, della democrazia, dell’economia e della pace. L’agenda non l’hanno scritta Monti o Grillo, bensì il nuovo Vescovo di Roma che parla in italiano, ma che pensa in maniera cosmopolita. Subito dopo le elezioni avevamo scritto che l’Italia stava per chiudersi su se stessa. La diagnosi era esatta e chi era entrato in Parlamento per fare la rivoluzione, suscitando pure belle speranze, per ora ha sdoganato l’insulto e la volgarità. Come un Bossi qualsiasi.
Questa situazione ci dice che il vero cambiamento viene dal basso e ha bisogno di tempo. Si nutre di due virtù: l’umiltà e la pazienza. In Italia ci sono esempi di gruppi, cooperative, fondazioni, associazioni che non hanno bisogno delle arroganti lezioni dei rappresentanti grillini e che non hanno la necessità di tagliarsi lo stipendio, di rinunciare ostentatamente ai benefit, di insultare il resto del mondo perché non nuotano nell’oro, ma condividono la fatica quotidiana di quanti soffrono di questa crisi. Forse una risposta sta nella capacità collaborativa di questi soggetti: creare una vera rete della società civile potrebbe dare speranza all’Italia.