Honduras: colpo di Stato, arrestato Zelaya, migliaia sfidano il coprifuoco

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Colpo di stato in Honduras. L'esercito ha deposto il presidente Manuel Zelaya nel tentativo di bloccare il referendum di revisione costituzionale. Migliaia di sostenitori di Zelaya hanno deciso di sfidare il coprifuoco di due giorni imposto dal nuovo capo dello Stato designato, Roberto Micheletti, protestando sotto il palazzo presidenziale di Tegucigalpa, capitale honduregna.

Zelaya ha rivolto un appello ai suoi concittadini a manifestare contro il colpo di stato "pacificamente, senza violenza" e chiesto a "tutti i settori" della societa' di pronunciarsi controil golpe. "Gli autori del colpo di Stato "rimarranno soli e usciranno pieni di vergogna" da questa vicenda, ha proseguito Zelaya, che ha chiesto "il ritorno immediato" allo Stato di diritto, "che è stato violentato".

Nel frattempo. i mezzi corazzati e i cecchini presidiano le vie della capitale, Tegucigalpa, mentre la pagina web del governo è stata oscurata. Si parlava di imminenti tentativi di golpe già da giorni, e giovedì pareva fosse stato sventato. Secondo il COPINH – Consiglio Civico delle Organizzazioni Popolari e Indigene dell'Honduras, che il 24 giugno scorso aveva denunciato i tentativi di destabilizzazione del paese “si tratta dell'ultimo colpo di coda di una destra sconfitta che cerca di frenare la volontà popolare e la ricerca di vie democratiche per la trasformazione del paese".

Da mesi la destra reazionaria cerca freneticamente di impedire la Consultazione Nazionale che era in programma per il 28 giugno e nella quale il popolo dell'Honduras sarebbe stato chiamato a esprimersi sulla convocazione di un'Assemblea Nazionale Costituente incaricata di elaborare una nuova costituzione e che aveva in progetto, tra l'altro, di eliminare la norma che stabilisce l'ineleggibilità del capo di Stato per più di una volta.

Mercoledì notte, il Presidente della repubblica Zelaya, di fronte al rifiuto del capo delle Forze armate a distribuire il materiale elettorale, lo aveva destituito. Da lì in poi si erano innescate una serie di dimissioni a catena, scatenando una tempesta mediatica. Giovedì mattina, la giudice di alta istanza della magistratura aveva puntualmente sfornato una sentenza fatta su misura dai committenti golpisti annullando la destituzione dell'alto capo militare.

Dopo la destituzione del capo di stato maggiore, i cittadini erano scesi in piazza, con a capo lo stesso presidente, per recuperare le urne e le schede che i militari si rifiutavano di distribuire nelle circoscrizioni elettorali. Il popolo honduregno si era riversato nelle strade anche per difendere il presidente e il processo di cambiamento messo in moto attraverso, ad esempio, l'adesione all'Alba e alla Petrocaribe e la convocazione dell'Assemblea costituente.

L'offensiva golpista è stata pianificata e eseguita in maniera articolata dal Congresso Nazionale, i mezzi di comunicazione e i loro propietari, gli imprenditori e le Forze Armate. Secondo le notizie arrivate, l'esercito avrebbe assunto un ruolo simile a quello ricoperto negli anni '80, quando era nient'altro che uno strumento in mano ai poteri forti per garantire ordine e seminare repressione.

Inutile sottolineare come questo golpe rappresenti un atto di aggressione contro il popolo dell'Honduras, realizzato di comune accordo dalle gerarchie della chiesa avangelica e cattolica con le frange golpiste, con l'ingerenza del governo degli Stati Uniti e la sua ambasciata in Honduras che, informati previamente dei fatti, hanno abbandonato il paese invitando i funzionari della Banca Mondiale e del FMI a fare lo stesso.

Il silenzio mantenuto dagli Stati Uniti nelle ore successive al golpe fa riflettere sulla portata reale del tanto declamato “cambio di strategia” degli Usa in America Latina. Impossibilitati, dai processi in atto, ad incidere profondamente sulle sorti dell'America del Sud, non hanno forse valutato più conveniente, nel frattempo, tornare a ingerire – come fu costume negli anni 70 e 80 – sulle sorti dei più prossimi e gestibili paesi dell'America centrale?

C'è anche da considerare che sul 2010, anno prossimo a venire, la preoccupazione è tanta. La data è altamente simbolica, e in Messico qualcosa di grosso si prepara. A 200 anni dall'indipendenza e 100 dalla rivoluzione zapatista, il monito del popolo messicano che si prepara a riprendere in mano le redini del proprio destino preoccupa non poco le stanze dei bottoni oltrefrontiera.

È palese, anche ad un osservatore poco attento, che questo Washington non può permetterlo, anche a costo di lastricare la strada per Città del Messico di “momenti preparatori” come quello del golpe – se non aiutato, quanto meno auspicato – di ieri.

Fonte: A Sud

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