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Mai come oggi i popoli indigeni, in ogni angolo della terra, sono messi con le spalle al muro. Le conseguenze del cambiamento climatico, infatti, rendono ancor più drammatica la situazione delle popolazioni autoctone. I circa 32.000 indigeni Kuna dell'isola di San Blas al largo delle coste di Panama stanno valutando di migrare verso la terra ferma a causa delle sempre più frequenti inondazioni delle loro terre che in alcuni casi emergono solo di un metro dal livello del mare. Particolarmente drammatica risulta essere anche la situazione dei circa 25.000 indigeni del bacino del fiume Xingu in Brasile. La costruzione della diga di Belo Monte nello stato brasiliano del Pará cambierà il flusso d'acqua del fiume privando la maggior parte delle comunità indigene della loro base esistenziale. Sono solo due esempi che spiegano la drammaticità della situazione dei popoli minacciati. Purtroppo i miglioramenti legali raggiunti a partire dal 1994 con il primo decennio Onu per i Popoli Indigeni sono finora rimasti solo sulla carta. Di fatto la maggior parte degli stati non rispetta gli impegni internazionali presi e fintanto che le popolazioni indigene non verranno incluse come partner paritetici in tutte le decisioni che vanno a toccare le loro condizioni di vita, la loro situazione non solo non migliorerà ma andrà inesorabilmente peggiorando.
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Nella giornata in cui si ricordano i diritti delle popolazioni indigene, la storia di Roy Sesana è l’esempio di una battaglia semplice per un diritto elementare, quello di poter vivere nella terra dei progenitori. Sesana, nato all’incirca a metà del XX secolo in una riserva nel deserto del Kalahari (oggi in Botswana), appartenente al popolo dei boshimani, dopo aver lavorato in Sud Africa, ritorna al suo villaggio dove opera come guaritore. Ma la vita del suo popolo è minacciata dalla “civilizzazione” e Sesana nel 1991 fonda l’organizzazione First people of Kalahari allo scopo di difendere la terra, la cultura, il futuro dei boshimani. Inizia così una battaglia contro le intenzioni del governo di cacciare i popoli del deserto dal loro territorio costellato di miniere di diamanti. Non si contano le minacce, gli incendi delle capanne, la distruzione dei pozzi, gli incentivi più o meno legali con cui il Botswana voleva convincere i boshimani a sparire. A cavallo del 2000 però Sesana guida una campagna di consapevolezza e di resistenza che culmina nel suo arresto nel settembre 2005. l’anno successivo è prosciolto dall’accusa di sommossa. Ma la sua battaglia continua tra mille difficoltà ma con la costanza di chi vive a contatto con la terra.
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