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Su cosa voteremo?
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Foto: Tingey Injury Law Firm da Unsplash.com
E allora ci siamo o quasi: il 12 giugno, gli italiani saranno chiamati alle urne non solo per eleggere – dove serve – sindaci e consigli comunali, ma anche per cinque referendum abrogativi. Sono, appunto, referendum che vogliono cancellare leggi esistenti e per questo servirà che almeno il 50% degli elettori italiani – ricordiamolo – si rechi alle urne.
La tradizione, negli ultimi anni, è negativa: i referendum abrogativi recenti sono stati annullati per la scarsa affluenza. Tant’è: si tratta di una forma di democrazia diretta e come tale dovrebbe essere maggiormente considerata e rispettata. Ma su cosa voteremo? Meglio ricordarlo, perché non è che la campagna elettorale referendaria sia stata, per ora, vivace.
I quesiti che gli elettori si troveranno davanti, tutti naturalmente ammessi dalla Corte Costituzionale, sono cinque e tutti legati al tema della giustizia. Ripetiamolo: sono referendum abrogativi e, quindi, si deve votare sì se si vuole cancellare la legge esistente, no se la si vuole mantenere.
Non ripeteremo qui l’esatto quesito posto dalla scheda di voto: sono quasi intraducibili e spesso lunghissimi. Riportiamo il senso della domanda che verrà posta agli elettori, forse serve di più.
Il primo è relativo alla incandidabilità dopo la condanna. Il quesito del referendum chiede di abrogare una parte della Legge Severino, quella che prevede l’incandidabilità, l’ineleggibilità e la decadenza automatica per parlamentari, membri del governo, consiglieri regionali, sindaci e amministratori locali nel caso di condanna per reati gravi. Se questa parte della legge dovesse essere abrogata, a differenza di quanto avviene - più o meno - oggi, i politici eletti e condannati per qualsiasi reato grave resterebbero al loro posto. Inoltre, potrebbero candidarsi a cariche istituzionali elettive anche persone condannate per reati tipo associazione mafiosa, truffa, omicidio, stupro. Insomma, per alcuni osservatori diventerebbe il festival dell’impunità.
Il secondo parla della custodia cautelare durante le indagini. In pratica, chiede di togliere la “reiterazione del reato” dai motivi per cui i giudici possono disporre la custodia cautelare in carcere o i domiciliari per una persona durante le indagini e prima del processo. Quindi, il pericolo che l’indagato possa ricommettere lo stesso reato, non dovrebbe più essere considerato una ragione valida per tenerlo in custodia fino al processo.
Con il terzo quesito referendario, siamo al tema della separazione delle carriere in magistratura. Ricordiamolo: il sistema giudiziario italiano è basato su due linee di magistrati. C’è la magistratura inquirente – cioè la procura – e la magistratura giudicante, cioè i giudici di Tribunale. Esistono, però, le cosiddette “porte girevoli”, che consentono al magistrato di passare dal ruolo di giudice (che appunto giudica in un procedimento) a quello di pubblico ministero (coordina le indagini e sostiene la parte accusatoria) e viceversa. Il quesito chiede che questo non avvenga più, che venga cioè cancellata la norma che lo consente.
La valutazione degli avvocati sui magistrati è il quarto quesito. Il referendum chiede di abrogare la norma che impedisce agli avvocati, che sono parte di Consigli giudiziari, di poter votare in merito alla valutazione dell’operato dei magistrati e della loro professionalità. Una richiesta, dicono i proponenti, che nasce dalla necessità di valutare l’operato dei magistrati. Chi si oppone, ricorda che la magistratura in Italia è, per volontà della Costituzione, indipendente.
Infine, l’ultimo, il quinto, legato al Consiglio Superiore della Magistratura, il Csm, l’organo di autogoverno della magistratura italiana. In pratica, si chiede che non ci sia più l’obbligo per un magistrato di raccogliere da 25 a 50 firme per presentare la propria candidatura al Csm. Una semplificazione delle procedure, queste, che alcuni giudicano inopportuna: la raccolta delle firma – si spiega – è la prima garanzia della serietà del candidato.
Raffaele Crocco

Sono nato a Verona nel 1960. Sono l’ideatore e direttore del progetto “Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo” e sono presidente dell’Associazione 46mo Parallelo che lo amministra. Sono caposervizio e conduttore della Tgr Rai, a Trento e collaboro con la rubrica Est Ovest di RadioUno. Sono diventato giornalista a tempo pieno nel 1988. Ho lavorato per quotidiani, televisioni, settimanali, radio siti web. Sono stato inviato in zona di guerra per Trieste Oggi, Il Gazzettino, Il Corriere della Sera, Il Manifesto, Liberazione. Ho raccontato le guerre nella ex Jugoslavia, in America Centrale, nel Vicino Oriente. Ho investigato le trame nere che legavano il secessionismo padano al neonazismo negli anni’90. Ho narrato di Tangentopoli, di Social Forum Mondiali, di G7 e G8. Ho fondato riviste: il mensile Maiz nel 1997, il quotidiano on line Peacereporter con Gino Strada nel 2003, l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo, nel 2009.