Quanto siamo disposti a sacrificare di ciò in cui crediamo?

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Quanto siamo disposti a sacrificare di ciò in cui crediamo. Quanto possiamo lasciare per strada in termini di principi, valori, diritti condivisi? Soprattutto, qual è davvero la soglia di compromesso, quale l’obiettivo che vogliamo garantire?

Sono le domande che mi riempiono la testa nei giorni successivi al vertice Nato di Madrid. Ne siamo usciti toccando con mano come l’Alleanza, a dispetto degli spot pubblicitari delle ultime, convulse settimane, sia lontana e indifferente ad ogni forma di rispetto dei diritti umani. Ce lo racconta l’avvenimento più clamoroso dell’incontro: l’ingresso della Svezia e della Finlandia nel club. La Turchia era contraria. Non si sentiva garantita, perché i due Paesi non consideravano il Partito dei lavoratori Curdi – Pkk - una organizzazione terroristica. A questo, si aggiungeva che nemmeno la Ypg, la milizia curda presente in Siria, veniva considerata terrorista da Stoccolma e Helsinki. 

Ora, per chiarirci. I curdi sono un popolo senza terra, che da cent’anni chiede di avere uno Stato. Esattamente come lo chiedono – ad esempio – i kosovari. Bene, nessuno li ascolta. In Turchia la lotta per l’indipendenza ha assunto effettivamente toni drammatici e spesso terroristici. In Siria, la Ypg che Erdogan vuole distruggere è la stessa forza armata che noi abbiamo aiutato, sostenuto, esaltato quando combatteva per conto nostro contro l’Isis. Quanto erano belli e bravi i curdi in quel tempo. Lo scrivevamo su ogni giornale. Lo raccontavamo in ogni televisione.

Ora, che il nostro nemico è diventato un altro, vogliamo – tutti – una Nato più forte, perché l’Orso russo ci spaventa. Ecco che improvvisamente i curdi sono tornati ad essere niente, una banale pedina di scambio nella politica degli interessi di sistema. Le immagini delle combattenti curde che resistevano all’integralismo islamico sono state consegnate alla storia, chiuse nei cassetti.

Non dovremmo nemmeno dimenticare – a margine – che la Turchia di Erdogan non è un fulgido esempio di rispetto dei diritti umani e della democrazia, con il lungo rosario di dissidenti incarcerati, di giornalisti zittiti, di interferenze nelle politiche e negli eserciti di Europa e Asia. E questo, per un’Alleanza che si dichiara “paladina della democrazia” è quanto meno bizzarro.

Tant’è: sull’altare della sicurezza militare e della crescita della potenza “difensiva” abbiamo sacrificato diritti e persone. Chi governa l’Alleanza, il segretario Stoltenberg, ha esultato: “Ora siamo tutti più sicuri”, ha detto. Ovviamente, non parlava a nome dei curdi che ogni giorno, in Siria, muoiono sotto le bombe turche. Chi ci governa in Italia ha taciuto, non ha commentato. Si è limitato a promettere altre risorse, umane ed economiche, all’Allenza. Poteva essere l’occasione per ridiscutere i termini “politici e di diritto” dell’Allenza, per scegliere davvero come guardare il Mondo. La democratica Italia, assieme agli altri democratici Paesi, ha deciso che l’unico sguardo che conta, in questo momento, è quello dato dal puntatore di un’arma. Come fanno i cecchini.

Raffaele Crocco

Sono nato a Verona nel 1960. Sono l’ideatore e direttore del progetto “Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo” e sono presidente dell’Associazione 46mo Parallelo che lo amministra. Sono caposervizio e conduttore della Tgr Rai, a Trento e collaboro con la rubrica Est Ovest di RadioUno. Sono diventato giornalista a tempo pieno nel 1988. Ho lavorato per quotidiani, televisioni, settimanali, radio siti web. Sono stato inviato in zona di guerra per Trieste Oggi, Il Gazzettino, Il Corriere della Sera, Il Manifesto, Liberazione. Ho raccontato le guerre nella ex Jugoslavia, in America Centrale, nel Vicino Oriente. Ho investigato le trame nere che legavano il secessionismo padano al neonazismo negli anni’90. Ho narrato di Tangentopoli, di Social Forum Mondiali, di G7 e G8. Ho fondato riviste: il mensile Maiz nel 1997, il quotidiano on line Peacereporter con Gino Strada nel 2003, l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo, nel 2009. 

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