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Profughi ucraini e lavoro: guardiamoci dallo spreco dei talenti
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Foto: Pexels.com
Non solo badanti, togliamocelo dalla testa. Sarebbe uno spreco di competenze, che in realtà è uno dei punti più critici della nostra gestione dell’immigrazione. Dopo la fase delle risposte ai bisogni primari delle persone in fuga dall’Ucraina, è tempo di iniziare a ragionare di quali prospettive ci siano sul fronte del lavoro. Per farlo però si deve partire da “chi sono” e “cosa vogliono” queste persone, in larghissima parte donne e minori, per il loro futuro. I primi passi sembrano andare nella direzione giusta: la direttiva 55/2001, applicata per la prima volta, dà immediatamente la possibilità di lavorare e andare a scuola e il decreto legge n. 21/2022 deroga alla disciplina del riconoscimento delle qualifiche professionali per medici e operatori sanitari ucraini. «Dovremo aspettarci una permanenza non breve di queste persone: che sia in Italia o altrove dipenderà anche dal modo in cui le accogliamo», dice Maurizio Ambrosini, sociologo esperto di migrazioni, docente all’università Statale di Milano. Anche nel mondo del lavoro.
Da dove partire?
Inevitabilmente da “chi sono” le persone arrivate, che cercheranno lavoro una volta stabilizzate. Sono per lo più donne, lo sappiamo, ma non con le stesse caratteristiche anagrafiche delle tante ucraine che si trovavano già in Italia, spesso impiegate nell’assistenza ai nostri anziani, in coabitazione, con l’obiettivo prevalente delle rimesse. Ora si tratta di donne giovani, di madri. Madri con figli relativamente piccoli e quindi bisognosi di cura. Questo avrà implicazioni rilevanti per il loro potenziale di partecipazione al mondo del lavoro. Noi semplificando in questi giorni forse ci siamo fatti l’idea che uno sbocco quasi naturale sarà l’assistenza agli anziani ma nella realtà è molto probabile che salvo arrangiamenti particolari e provvisori, per cui una famiglia italiana accetti di avere un’assistente che coabita con l’anziano insieme ai figli, credo che nella maggior parte dei casi saranno proprio queste donne a non essere disponibili a questo tipo di occupazione, sia per ragioni familiari sia per ragioni biografiche, legate alle competenze. Il mercato dell’assistenza inoltre è rigido: come in tempi di crisi la domanda c’è e non è comprimibile, così anche in momenti in cui l'offerta sarebbe più ampia la domanda ha già trovato risposta.
Possiamo mettere in conto che qualche famiglia pensi di assumere una persona in forma part time, per solidarietà, ma non saranno grandi numeri...