Le stragi del profitto

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Foto: Unsplash.com

Ci sono nomi di località che grondano dolore. Ad iniziare dal Vajont.  Provate a metterli uno dietro l’altro: Seveso, Stava, Casalecchio di Reno, Cavalese, Rigopiano, San Giuliano di Puglia, Amatrice, Viareggio. Alcuni sono stati ribattezzati, come la Terra dei fuochi tra Napoli e Caserta. 

E poi aggiungetevi: Moby Prince, Torre piloti di Genova, viadotto  Acqualonga di Avellino, ponte Morandi, ThyssenKrupp di Torino, impianti petrolchimici e siderurgici, amianto, clorurodivinile, Pcb, Pfas. Fino ad arrivare al Mottarone, “solo” l’ultimo episodio di quella che Marco Piagentini, del comitato delle vittime del disastro ferroviario di Viareggio, ha chiamato venerdì 28 maggio, nel corso di un incontro con la stampa per la presentazione di un Appello per la verità e la giustizia,  “omicidi economici, per la sfrenata ricerca di profitti di impresa”. 

Da anni – da quel lontano 9 ottobre 1963, giorno della frana nell’invaso della diga del Vajont, diventato in seguito “giornata nazionale delle vittime dei disastri ambientali e industriali” –  i familiari, i sopravvissuti, i compagni di lavoro e di sventura degli uomini, delle donne, dei bambini  periti in queste stragi si trovano a dover affrontare da soli e senza mezzi la ricerca della verità e del riconoscimento delle colpe. Senza i quali non può esserci né elaborazione del lutto, né  riconciliazione, né giustizia. 

Per rovesciare questa condizione di isolamento e di debolezza – che si viene a determinare dopo i primi, passeggeri momenti di commozione generale – molti comitati e associazioni delle vittime di uno stesso evento hanno deciso di mettere in comune le loro esperienze, condividere le conoscenze giuridiche e gli esperti di fiducia e rivendicare il cambiamento di una normativa e di una prassi giudiziaria che non tiene contro delle esigenze delle vittime. 

È nata così, lo scorso anno a Longarone, una rete informale che unisce comitati dei disastri ambientali, industriali, trasportistici e del lavoro assieme ad avvocati, giuristi, medici, tecnici di varie discipline. 

L’obiettivo è mettere a punto una piattaforma di richieste legislative e normative accompagnate da una manifestazione nazionale in presenza a Roma il prossimo 9 ottobre. “Siamo tutti/e potenzialmente vittime innocenti del prossimo disastro ambientale o tecnologico – ha detto Lucia Vastano, giornalista da sempre impegnata nei movimenti dei diritti e delle cittadinanza attiva -. La lotta dei familiari delle vittime è per fare in modo che queste sciagure non accadano più. Per questo il loro impegno deve diventare l’impegno di tutti”.

Le proposte già avanzate dal Comitato Noi, 9 Ottobre partono dal riconoscimento del ruolo della vittima nel procedimento giudiziario. “Le parti civili, nel processo penale – hanno detto, tra gli altri, gli avvocati Massimiliano Gabrielli e Alessandra Guarini – sono trattate nelle aule dei tribunali come ospiti scomodi e indesiderati”. Peggio, sono invitate a occuparsi solo in sede civile solamente degli eventuali risarcimenti dei danni subiti. 

Il loro punto di vista non interessa ai giudici e la loro presenza con gli stessi diritti degli imputati (accesso agli atti) non è contemplata nel Codice di procedura penale. Ma, come è evidente dalle testimonianze di molti familiari, la partecipazione delle vittime ha persino una funzione terapeutica. 

Non è giustizialismo, ma ricerca delle responsabilità sociali (come ha detto Gianni Devani dell’Associazione Vittime del Salvemini) di eventi calamitosi che spesso sono ampliati dalla mancanza di prevenzione, dall’assenza di controlli pubblici, dal calcolo criminale del risparmio di costi di manutenzione. Quello che viene chiamato “illecito efficiente”, vale a dire la calcolata convenienza per le imprese a risarcire le vittime piuttosto che investire in sicurezza

Le nostre leggi sono sempre subalterne alla ragione economica dell’impresa, la cui responsabilità giuridica è per definizione “limitata” e difficilmente individuabile in capo a singole persone. In quei pochi casi in cui le responsabilità riescono ad emergere nelle aule dei tribunali i “colpevoli” sono solo capri espiatori di una logica di sistema che rimane intatta. 

Quella che un prestigioso giurista, Luigi Ferrajoli, chiamò “macro criminalità di sistema”. Lo stesso papa Bergoglio in una memorabile audizione con l’associazione internazionale di diritto penale disse: “Una delle frequenti omissioni del diritto penale (…) è la scarsa o nulla attenzione che ricevono i delitti dei più potenti, in particolare la macro-delinquenza delle corporations (…) Il capitale finanziario globale è all’origine dei gravi delitti non solo contro la proprietà ma contro le persone e l’ambiente” (Città del Vaticano, 15 nov. 2019).

In conclusione il neonato Comitato Noi, 9 Ottobre, con l’ausilio di ex magistrati esperti come Raffaele Guariniello e Felice Casson, si appresta ad intervenire in tutte le sedi,  a partire dalle scuole per arrivare al legislatore, per migliorare l’organizzazione e le norme della Giustizia per contrastare ogni forma di criminalità d’impresa.

P. Cacciari e R. Troisi da Comune-info.net

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