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Kosovo, il difficile reinserimento dei rimpatriati da Siria e Iraq
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Foto: Mario Heller da Unsplash.com
A pochi giorni dal suo rientro in Kosovo, N. fu presa dal timore di non riuscire ad affrontare in modo adeguato le sfide che il ritorno nel suo paese di origine avrebbe inevitabilmente comportato, sfide legate innanzitutto all’incertezza economica, ma anche alle reazioni della comunità locale.
N. (che ha voluto mantenere l’anonimato) è una dei 121 cittadini del Kosovo rimpatriati dalle aree della Siria e dell’Iraq che facevano parte dell’autoproclamato califfato dello Stato islamico.
“Una volta ritornati in Kosovo, mi chiesero se volessi studiare all’università o frequentare un corso di formazione e io risposi: ‘Vorrei frequentare un corso di taglio e cucito’”, racconta N. Pur avendo completato un corso di sartoria tre anni fa, N. non è ancora riuscita a trovare un impiego. Attualmente vive con suo figlio in un appartamento in affitto pagato dallo stato.
“Ho cercato lavoro come sarta in diverse aziende, ma tutti mi hanno risposto che serve esperienza, e io non ho alcuna esperienza”, spiega N.
La disoccupazione, che ormai da tempo dilaga nell’intero paese, è uno dei principali ostacoli che minano gli sforzi per reintegrare le persone come N. nella società kosovara. Un altro problema riguarda la persistenza dei pregiudizi nei confronti delle persone rimpatriate.
Il Kosovo deve ancora elaborare una strategia efficace per la riabilitazione e il reinserimento a lungo termine delle persone rimpatriate da zone di conflitto.
“In Kosovo manca un approccio istituzionalizzato al trattamento di questa categoria di persone”, spiega Shpat Balaj, ricercatore presso il Centro kosovaro per gli studi sulla sicurezza (KCSS). “Gli interventi vengono di solito pensati ad hoc nell’ambito dei progetti portati avanti da alcune organizzazioni o grazie ai contributi, peraltro modesti, concessi dallo stato”...