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Il PNRR guarda solo il proprio ombelico
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Foto: Mika Baumeister on Unsplash
Cercasi traccia di “aiuto pubblico allo sviluppo” nelle 266 pagine del PNRR. Nessuna.
Niente proprio su tutto il fronte della politica estera nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, se non nell’accenno alle doverose iniziative per incentivare la diffusione del Made in Italy da parte delle piccole e medie imprese e della cultura italiana promossa dagli Istituti di istruzione superiore artistica e musicale (AFAM).
Nessuna parola spesa sul fronte della gestione dei migranti nel Paese o sull’accoglienza dei rifugiati.
Niente sul ruolo del Paese nel Mediterraneo e nella sponda sud dell’Europa.
Niente neanche su tutte quelle organizzazioni della società civile che in questo anno e mezzo di emergenza hanno affiancato amministrazione pubblica ed enti del terzo settore nel sostegno ai più fragili in ambito socio-sanitario ed educativo, molte continuando inoltre a sostenere gli interventi umanitari nelle aree del mondo con maggiore indice di povertà, proprio laddove il virus del Covid-19 si sta diffondendo pericolosamente in assenza di farmaci, misure igienico-sanitarie efficaci a suo contrasto e tantomeno vaccini. Inascoltato è stato l’appello di alcune sigle di ONG che, in sede di formulazione del Piano, hanno tentato di dialogare con Palazzo Chigi per spingere per una presa di posizione forte del Paese in materia di cooperazione internazionale, intesa come una scelta tanto etica quanto strategica, a maggior ragione in un periodo di pandemia globale. Il principio può essere così semplicisticamente spiegato: se contribuisco a eliminare le ragioni che innescano guerre, fame, ingiustizie sociali garantendo diritti umani e un pianeta vivibile, allora disintegro le cause foriere di ulteriori conflitti, terrorismi, violenze e migrazioni forzate.
La necessità di realizzare riforme mastodontiche e da troppo tempo rimandate per continuare a rendere competitiva l’Italia quali quelle della giustizia, delle infrastrutture o della pubblica amministrazione sono, infatti, strettamente connesse anche all’intento di “stimolare maggiori investimenti, interni e dall’estero”. Semplificazione e digitalizzazione sono chiavi di volta per modernizzare il Paese e renderlo un mercato appetibile per investitori stranieri. Nella vision che sottende all’intero PNRR l’estero è anche un’opportunità di arricchimento delle competenze esperienziali dei funzionari della pubblica amministrazione che hanno lavorato “nel privato più qualificato, in organizzazioni internazionali, in università straniere o presso soggetti pubblici e privati all’estero”. Dinanzi all’emorragia di capitale umano nazionale in fuga verso l’estero, soprattutto i più qualificati dottori di ricerca che si calcola per un quinto emigrino al completamento del proprio percorso formativo, la ricetta prevede forti investimenti nel Meridione per aumentare le buone opportunità lavorative e una maggior sinergia tra università e imprese.
Quindi piccoli accenni in positivo e in negativo di quel che c’è al di fuori dei confini nazionali ma nient’altro di questo. Il pacchetto di fondi europei del Next Generation EU (#nextgenerationitalia) vanno a ristrutturare l’Italia e stop, non guardando il contesto nel quale essa è inclusa. Strano per una pianificazione che ha come tema proprio il futuro di una prossima generazione che vive la globalizzazione con la naturalità di uno stato di fatto nel quale è nato e sta crescendo, con un limitatissimo concetto di Stato e di confini. I dati dell’eurobarometro pubblicati a inizio maggio, a pochi giorni della Conferenza sul futuro dell’Europa, sul recente sondaggio primaverile indicano che due terzi dei cittadini europei (66%) crede che l’UE offra una prospettiva futura ai giovani e un 81% è favore di un maggior ruolo dell’UE nella gestione di grandi crisi, quale chiaramente quella sanitaria legata alla diffusione del Covid-19. Piena fiducia quindi in una regia europea per un futuro migliore ma per il momento le scelte restano in mano ai governi nazionali e a una pianificazione entro i confini nazionali.
Unica eccezionale in ambito educativo. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza guarda con favore al Servizio Civile Universale, “perno del piano per quanto riguarda inclusione, coesione e digitalizzazione”, come riportato dal quotidiano Vita. Tra i numerosi settori di impiego dei giovani vengono annoverati anche “promozione della pace tra i popoli, della non violenza e della difesa non armata; promozione e tutela dei diritti umani; cooperazione allo sviluppo”, tutti ambiti promossi nella cosiddetta Educazione Allo Sviluppo (EAS) da quelle stesse organizzazioni restate da tempo inascoltate in merito alla loro professionalità e alle fondamentali attività portate avanti.
Appare davvero assurdo che dopo anni di educazione EAS dei nostri giovani sugli Obiettivi ONU del Millennio prima e sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile oggi con scadenza il 2030, ovvero agende di obiettivi comuni per tutti i Paesi del mondo pur con strategie e azioni diversificate, non si lavori attraverso quella che è l’opportunità fornita dal PNRR a una visione meno frammentaria tra politica interna ed estera intendendo i comparti delle politiche di buon vicinato, i flussi migratori e la cooperazione allo sviluppo come chiavi per promuovere trasformazione e giustizia sociale. E per farlo non basta rimandare al solo leitmotiv della “transizione ecologica” che oggi tanto è in voga né tantomeno investire esclusivamente in “classici” piani di internazionalizzazione delle imprese e delle attività di promozione culturale perché sostanzialmente nel 2021 non ha alcun senso parlare di resilienza in un’ottica puramente nazionale.
Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.