E se la transizione ecologica non fosse abbastanza?

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Foto: Unsplash.com

Durante la cerimonia di apertura del World Leader’s Summit della COP26 di Glasgow, fra gli interventi dei leader globali, ha avuto particolare rilevanza il deciso intervento di David Attenborough, celeberrimo divulgatore scientifico inglese autore di innumerevoli documentari naturalistici.

Nel suo intervento, dove la sua voce familiare veniva accompagnata da devastanti immagini sugli effetti dei cambiamenti climatici, Attenborough ha sottolineato come il principale motore dei cambiamenti climatici possa essere sintetizzato in un numero: 414. Questo numero rappresenta la concentrazione di CO2 nell’atmosfera misurato in ppm (parti per milione), cresciuta esponenzialmente negli ultimi 250 anni, ovvero dall’inizio della rivoluzione industriale e dello sfruttamento del carbone come materia prima per la produzione di energia.

La capacità della CO2 di intrappolare nell’atmosfera le radiazioni infrarosse emesse dalla Terra verso lo spazio, ossia il meccanismo fisico che genera il cosiddetto effetto serra e conseguentemente il cambiamento climatico, è ben nota. 

Allo stesso modo, è noto che l’aumento delle temperature genera una serie di conseguenze catastrofiche per la società umana: dalla maggiore frequenza degli eventi meteorologici estremi, allo scioglimento dei ghiacci e l’aumento dei livelli del mare. La maggiore concentrazione di CO2 fomenta inoltre l’acidificazione degli oceani che rende sempre più inospitali questi ultimi per la sopravvivenza del delicato ecosistema marino.

Delineando solamente alcuni degli effetti avversi generati dall’aumento della concentrazione di ovvero nell’atmosfera, è evidente come il trend di questo dato, positivo a livelli esponenziali da almeno due secoli, debba essere drasticamente invertito per contenere gli effetti avversi del cambiamento climatico.

La terra è un sistema complesso, in grado di assestarsi su diversi equilibri a seconda della miriade di variabili che determinano il suo procedere del tempo. È conosciuto infatti che la produzione di anidride carbonica da parte del sistema economico mondiale sia controbilanciata dai cosiddetti “carbon sinks” (depositi naturali di carbonio), principalmente gli oceani e le foreste, in grado di assorbire poco meno della metà delle emissioni di CO2 nell’atmosfera...

L'articolo di Enrico Chiognia segue su Stampagiovanile.it

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