E’ morta la regina, abbasso la Monarchia

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Nulla come la morte cancella colpe e ingiustizie. Nulla come la morte trasforma il male i quasi bene, l’inaccettabile in virtù, le contraddizioni e le meschinità in gesti ineguagliabili e grandiosi.

Elisabetta II d’Inghilterra, è morta e il processo di beatificazione popolare è iniziato istantaneamente, senza nemmeno il tentativo di cercare contraddizioni, zone d’ombra.

Così, da giorni ormai, stiamo glorificando una signora che per settant’anni è stata semplicemente a capo di un sistema post coloniale e imperialista fondato su profonde ed esclusive differenze sociali, sulla negazione delle altrui libertà, sulla distribuzione iniqua di ricchezza e risorse, sullo sfruttamento di popoli ritenuti “inferiori”.

Stiamo celebrando una lady che è stata per sette decenni alla guida di una potenza nucleare che ha combattuto e voluto guerre, sovvenzionato colpi di stato, armato generali golpisti.

Stiamo mettendo sugli altari una donna che per una fetta importante del secolo scorso ha mandato soldati a reprimere il sogno indipendentista di un popolo, una leader che ha consentito che uomini e donne, da molti considerati patrioti - cioè combattenti per la libertà - e non banditi, fossero giustiziati come delinquenti.

Stiamo santificando una regina conservatrice, che ha mantenuta intatta una struttura sociale che isola alcuni privilegiati - i nobili - dal resto della popolazione. Che ha conservato, alimentato e giustificato un sistema in cui uomini e donne erano suoi sudditi per una immaginata volontà divina: non erano – e non saranno - cittadini di uno Stato per libera scelta e appartenenza. Che ha lottato per riportare la Gran Bretagna indietro nel tempo, al “dorato isolamento” dall’Europa, mantenendo posizioni quanto meno ambigue rispetto alla Brexit.

Il fatto semplice è che è morta Elisabetta II, regina del Regno Unito.

Da giornalista capisco: è stata, nel bene e nel male, una protagonista della storia moderna. Da cittadino di una Repubblica, invece, non capisco questa smania di trasformarla in un “esempio da ammirare e copiare”, non raccontando le contraddizioni di un sistema - la monarchia- ancora troppo diffuso in Europa e totalmente lontano dal senso di giustizia, equità e uguaglianza che ci ha regalato la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

Davvero vogliamo dimenticare che “nessun suddito la poteva e doveva toccare” sua Maestà? Davvero dobbiamo esaltarne le doti, la lungimiranza, la magnificenza sapendo che viveva nella bolla che la monarchia le ha costruito attorno fin dalla nascita, lontana dal confronto con gli altri esseri umani?

Mentre muore Elisabetta e i particolari ormai quasi pornografici per la voglia di dettaglio della sua vita e delle cerimonie per il suo funerale occupano militarmente ogni spazio informativo, c’è chi - come Draghi e i partiti che lo sostengono - approva nuove spese militari per 12,5 miliardi, tagliando stato sociale, istruzione, servizi. Mentre raccontiamo cosa accade alla reale bara in viaggio fra Scozia e Inghilterra, si continua a morire in Ucraina, Yemen, Siria, Palestina. Mentre ci beviamo il discorso del nuovo sovrano Carlo III, in Cile bocciano la costituzione, in Somalia si muore di sete e fame, il Covd19 continua ad essere implacabile.

Stupidità e malafede sembrano mescolare le nostre giornate, usando Elisabetta II come cortina fumogena. In una Repubblica fondata sul lavoro ci scopriamo quasi tutti amanti o comunque un po’ ammiratori della monarchia. E da bravi amanti diventiamo ciechi e sordi. Non vediamo e non sentiamo l’ingiustizia che, tutto questo, ancora una volta, sta coprendo.

Raffaele Crocco

Sono nato a Verona nel 1960. Sono l’ideatore e direttore del progetto “Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo” e sono presidente dell’Associazione 46mo Parallelo che lo amministra. Sono caposervizio e conduttore della Tgr Rai, a Trento e collaboro con la rubrica Est Ovest di RadioUno. Sono diventato giornalista a tempo pieno nel 1988. Ho lavorato per quotidiani, televisioni, settimanali, radio siti web. Sono stato inviato in zona di guerra per Trieste Oggi, Il Gazzettino, Il Corriere della Sera, Il Manifesto, Liberazione. Ho raccontato le guerre nella ex Jugoslavia, in America Centrale, nel Vicino Oriente. Ho investigato le trame nere che legavano il secessionismo padano al neonazismo negli anni’90. Ho narrato di Tangentopoli, di Social Forum Mondiali, di G7 e G8. Ho fondato riviste: il mensile Maiz nel 1997, il quotidiano on line Peacereporter con Gino Strada nel 2003, l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo, nel 2009. 

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