Botanica… eeeh?

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Alle superiori manco vista, direi. È pur vero che ho frequentato un liceo classico, ma molti degli eruditi e dei ricercatori della storia del pensiero che ci hanno accompagnati fino a qui se ne sono interessati in maniera non occasionale, quindi forse varrebbe la pena considerarla come materia rilevante con cui familiarizzare, qualunque sia il percorso di studi. Purtroppo però lo stesso discorso possiamo farlo per l’università: grandi studiosi del passato e del presente la menzionano in relazione a molteplici prospettive di lettura della realtà, eppure, se non si frequenta una Facoltà specificamente dedicata a questi temi, si è ben lontani dall’avere anche quell’infarinatura minima che ci aiuterebbe a interpretare il mondo. Di chi parliamo? Della botanica, questa sconosciuta. Materia che, tra l’altro, anche nelle Facoltà a stampo naturalistico (dove peraltro gli iscritti non sono poi così numerosi in confronto ad altri percorsi formativi), spesso si può sostituire con altri esami.

Come mai dunque la botanica risulta così ostica e poco attraente, pur in un momento storico permeato dalle questioni climatiche e ambientali, e dunque anche così bisognoso di essere indagato, conosciuto, difeso con competenza e strumenti adeguati?

Ci muoviamo in ambiente aperto senza saper distinguere un larice da un pino, un leccio da una quercia, un castagno da un acero, una Veronica chamaedrys da un non-ti-scordar-di-me. Forse sappiamo che l’abete rosso è l’albero di natale e che la betulla ha il tronco bianco, che il pioppo produce pappi simili al cotone che in primavera ci spaventano tanto perché pensiamo (erroneamente) che siano causa di tante allergie. Forse riconosciamo una rosa canina da un corniolo, ma fine della storia, più o meno.

La botanica, pur protagonista di una realtà molto complessa e ricca di informazioni utili anche a noi, è ormai da anni bistrattata e relegata a percorsi di studio molto specifici: lo rivela uno studio intitolato in maniera molto significativa «The botanical education extinction and the fall of plant awareness» (L’estinzione della formazione botanica e la caduta della consapevolezza delle piante) e condotto dall’Università di Leeds, che si affaccia su questo enorme buco nero di ignoranza nei confronti di quel ramo della scienza biologica che studia gli organismi vegetali. Pubblicata sulla rivista Ecology and Evolution, la ricerca mette in luce un problema presente anche in Italia: siamo disconnessi dalla natura, anche per quanto riguarda la sua conoscenza scientifica. La maggior parte dell’attenzione, nei pochi momenti che il mondo della scuola le dedica, è focalizzata su fotosintesi e riproduzione delle piante, trascurando completamente gli aspetti legati alla loro identificazione e classificazione. A questo si somma il fatto che nel Regno Unito, dal 2007 al 2019, i dati ci parlano di 1 studente di botanica su 185 iscritti alle discipline biologiche. Un trend che emerge già dagli anni ’90 del secolo scorso, un vuoto didattico che sconta un orientamento sempre più professionalizzante della scuola, idolatra del risultato visibile, dell’applicazione immediata. A differenza dello studio del mondo vegetale, considerato un approfondimento culturale di bassa priorità. Ma davvero vogliamo credere che sia così?

Ogni anno a livello globale vengono scoperte oltre 100 nuove specie vegetali, ed è solo uno degli aspetti interessanti e fondamentali legati a doppia mandata alla tutela ambientale e alla gestione di fenomeni complessi quali i cambiamenti climatici e le loro conseguenze, nonché le relative scelte e azioni da mettere in campo in ambito alimentare e di gestione del territorio (p.es. per quanto riguarda le specie invasive).

In Italia il problema, pur considerato che l’impianto dell’istruzione scolastica nazionale è strutturalmente molto diverso da quello britannico, non è meno preoccupante: manca l’allenamento all’osservazione – se non ai livelli primari della formazione scolastica dove ancora il contatto con la natura e lo sguardo del principiante sono invece incoraggiati. Già, perché la botanica ci insegna prima di tutto una cosa, che probabilmente costituisce il principale motivo per cui sarebbe essenziale inserirla con convinzione nei percorsi formativi: allena alla meraviglia, alla curiosità, alla capacità di indagare e porsi domande, alla pazienza, alla cura e alla precisione, alla cautela. Che sono tutti fattori che concorrono a nutrire un senso di cura per il Pianeta e di consapevolezza per il ruolo cruciale che le piante giocheranno nella nostra sfida per la sopravvivenza, più che mai indispensabile ai bambini di oggi e agli adulti di domani.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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