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Attenzione verso gli altri e umiltà
Economia
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Cene dell'AltroMondo
Attenzione. Friedrich Wilhelm Raiffeisen, borgomastro di Weyerbusch en Westerwald, fondò la prima “associazione per il pane” per costituire il primo forno comunitario. Prese coscienza delle difficoltà dei suoi amministrati durante la crisi economica ed alimentare degli anni 1846-48.
Un’attenzione, quindi, alla crisi economica e alle modalità per “sortirne assieme”. L’“attenzione” verso gli altri più che un dovere morale diventa, oggi come allora, una necessità. La crisi economica, per dirla con Giorgio Napolitano, “un’occasione” per superare la “naturale tendenza” a coniugare l’io (egocentrismo / autoreferenzialità / autorealizzazione). Ci accorgiamo, meglio preventivamente, che “non bastiamo più a noi stessi” e, quindi, impariamo a declinare il “noi” (cooperazione / bene comune). Per farlo serve, paradossalmente, “perder tempo” per curare le “relazioni interpersonali”, primo tassello per evolvere i naturali conflitti che la relazione comporta.
Verso. È la seconda parola e, forse, la più importante pur trattandosi “solo” di una preposizione. Una “locuzione prepositiva al complemento di moto a luogo” affatto indifferente. Per favorire la “cooperazione intercooperativa”, il “fare sistema”, le “partnership” non serve attendere l’altro ma un’azione propositiva / propulsiva “verso” l’altro. L’ “andare verso” presuppone l’umiltà (parola che vedremo in seguito) di muovere noi i primi passi. Enzo Bianchi in “la differenza cristiana” (Einaudi, Torino 2006) si chiede “cosa posso fare io?” e non “cosa può fare l’altro?” I “frati minori osservanti” nel 1142 a Perugia si mossero verso l’altro fondando il primo Monte di Pietà in vista della crisi finanziaria del primo rinascimento. Fuori dai conventi; verso gli altri. Le crisi economiche, nella storia, hanno due uscite. O si sono dimostrate degli acceleratori formidabili di “processi” di partenariato come il “New Deal post ’29” oppure, oppure si sono dimostrate delle “trappole mortali”. In Europa la risposta alla crisi del ’29 è stato il nazifascismo e, quindi, la supremazia sull’altro. Non verso l’altro.
Gli altri. L’altro è per me un obbligo; un contenitore. Non è solo la causa dei problemi ma anche la fonte delle possibili soluzioni. Non è ciò che mina la mia identità, ma ciò che la definisce: “l’altro, il diverso, colui che fa parte di tutt’altra coop. è in realtà parte di me, è costitutivo di me stesso e della mia identità. È l’alleato migliore per abbandonare ogni presunzione a “non cambiare”. “Io non sono senza l’altro” (www.polemos.it). Nella costruzione del “bene comune” non possiamo muoverci “a prescindere” dall’altro. Si tratterebbe di “bene personale”. Null’altro. (Che significa, per l’appunto, la nullità dell’altro).
Umiltà. Finalmente arriviamo al “come”. All’atteggiamento che ci conduce verso l’altro. Il termine "umiltà" è derivato dalla parola latina "humilis", che è tradotta non solo come umile ma anche, alternativamente, come "basso", o "dalla terra". L’ossatura della “cooperazione” mondiale è umile perché avviene soprattutto attraverso le cooperative agricole dalle quali, peraltro, un abitante su due del globo campa.
Anche qui si parte dal presupposto che il mercato è, di per se, escludente. Il romanticismo keynesiano dell’autoregolazione ha mostrato ieri le sue opportunità ed oggi i suoi limiti. Per non essere umiliati, quindi esclusi, serve umiltà. E quindi, in primis, la disposizione soprattutto verso il proprio cambiamento senza il quale non è possibile andare verso l’altro. Il vecchio adagio “spesso vince più l'umiltà che il ferro” da le dimensioni della virtù. Henry James: “la gente è umile quando ha qualcosa da guadagnare.” Foss’anche un pasto caldo. La cooperazione agricola ne riserva uno a metà pianeta. È il forno comunitario voluto da Raiffeisen.
Fabio Pipinato
(direttore di Unimondo)
Fonte: Rivista della Cooperazione Trentina






